Rosso e i suoi fratelli

Contro l’omologazione favorita dall’agricoltura industriale e dalla grande distribuzione, un presidio slow food di Lucca si adopera per salvare le locali varietà di fagioli, protagoniste della gastronomia tradizionale.

Cannellino, Malato, Diecimino, Aquila Lupinario… sono alcune delle varietà di fagioli che da tempo immemore si coltivano e si consumano nei territori intorno a Lucca. Una produzione variegata di legumi che nelle forme più diverse da sempre caratterizza i piatti, poveri e ricchi, della lucchesia.

Le logiche dell’agricoltura industriale e della distribuzione massificata, che prediligono le monocolture, la selezione di poche varietà e l’omologazione del gusto, avevano portato quasi a zero la produzione di questi legumi. Nella provincia di Lucca però ci si è opposti a questa eventualità: produttori grandi e piccoli, contadini, agricoltori e perfino ortolani si sono uniti nell’associazione “Rosso e i suoi fratelli” per perpetuare la tradizione, e l’esistenza stessa, di ben 17 varietà locali di fagiolo.

L’associazione, che promuove la conoscenza, la degustazione, l’utilizzo in cucina e, ovviamente, la coltivazione di queste varietà, prende il nome dal fagiolo Rosso, il più caratteristico della lucchesia. Viene apprezzato perché ha una  pasta morbida e vellutata da cui si fa un passato molto denso e saporito, che dunque non ha bisogno di addensanti o sale. Il Rosso è il fagiolo più utilizzato dalla cucina tradizionale locale, prevalentemente per le zuppe, come la “frantoiana” in cui al passato di fagioli si aggiungono cavolo nero, olio d'oliva, ortaggi di stagione e pane raffermo. Ma il rosso è il più presente anche nelle farinate, nelle minestre di farro, e ovviamente nella pasta e fagioli. Alcuni ristoratori della zona, anch’essi impegnati a tutelare queste varietà culinarie recuperando antiche ricette quasi dimenticate, lo utilizzano anche per sperimentare nuove soluzioni; e così  può capitare di trovarlo nei menù in forma di contorno per insaporire le carni, nei ripieni dei ravioli o persino in forma di biscotto.

Ci sono poi le altre sedici specialità, salvate grazie anche a micro coltivazioni in orti domestici, o anche in orti scolastici, come successo nel comune di Capànnori, dove sedici scuole e ben 400 studenti sono stati coinvolti nel “salvataggio” e nello scambio di semi che alimenta le coltivazioni: “Orti in condotta”, è il nome evocativo scelto per questo progetto di agricoltura scolastica.
Così si sono dunque salvati: il Cannellino di S.Ginese dalla buccia trasparente; il Malato, così detto per il suo colore giallo-verdognolo; l’Aquila, o  Lupinaro, morbidissimo e burroso col sapore di castagna; il Mascherino, con la sua doppia faccia: bianca e scura; lo Stortino, il Giallorino, il Diecimino e tanti altri.

Gli esperti dell’associazione e del Presidio Slow Food Fagiolo Rosso di Lucca (visita il sito) li censiscono e li valutano in collaborazione con i produttori per garantirne la genuinità e la corrispondenza alla tradizione. Una tradizione che però è messa in pericolo, come altre eccellenze alimentari italiane, dalla mistificazione di chi cerca di imitare un prodotto di successo.

Questa storia fa parte di un progetto di comunicazione ideato per mettere in risalto i buoni esempi di comunità locali che agiscono per mantenere e recuperare le tradizioni agricole e produttive dei loro territori. Si tratta del progetto "Tra campagne intelligenti e montagne all’avanguardia - Le comunità rurali e montane insegnano come mangiare tutti e mangiare bene", realizzato da Earth Day Italia  con il sostegno del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

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