Italia sempre più sprecona: lo riferisce il rapporto Waste Watcher 2013 sullo spreco alimentare domestico in Italia presentato a Milano lo scorso 9 ottobre
In un periodo come questo dove l’attenzione ai consumi dovrebbe essere maggiore, si assiste ad un fenomeno in controtendenza: lo spreco alimentare domestico si sta rivelando più forte della crisi. Ad affermarlo il rapporto Waste Watcher 2013 sullo spreco alimentare domestico in Italia presentato a Milano lo scorso 9 ottobre da Andrea Segrè, presidente di Last Minute Market e direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna, Furio Camillo, Docente di Statistica Aziendale del Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Bologna e Maurizio Pessato, presidente SWG.
L’istantanea che scaturisce da questo rapporto è quella di un popolo di veri e propri spreconi: ogni anno gettiamo nella spazzatura in media circa 8,7 miliardi di euro in cibo, pari a 7,06 euro e 213 grammi di cibo a famiglia. Una cifra davvero importante e che rappresenta lo 0,5% del Pil nazionale.
Una prima domanda nasce spontanea: perché si spreca? Grazie alle risposte di circa due mila consumatori intervistati, il rapporto ha identificato nove spreco-tipi italiani: si parte da quello che spreca meno, il “sensoriale” che getta solo se costretto. Questo rappresenta il 35% degli italiani. Per questo spreco-tipo, il cibo viene gettato via solo in occasioni del tutto eccezionali: quando è andato a male o ha la muffa, un cattivo odore e sapore.
C’è poi “l’ignaro un po’ marginale” che rappresenta il 6,01% degli intervistati. Si tratta di quel gruppo che non conosce le cause dello spreco e che molto probabilmente vive in una condizione piuttosto marginale; abbiamo poi il “nostalgico autoisolato, arreso ma senza cause precise” (5,21%) e il “cliente della spesa grande, ma tifoso dei fresh” (15,22%). Nel primo caso si tratta di una tipologia di italiani un po’ chiusa e autoriflessiva in maniera quasi ossessionante.
Nel secondo caso ci troviamo davanti quel gruppo di italiani che ha uno stile di vita abbastanza frenetico e che fanno i loro acquisti in modo particolare nella grande distribuzione della quale però lamentano la scarsa capacità di conservazione dei cibi, soprattutto frutta e verdura. Vorrebbero approvvigionarsi nella piccola bottega di quartiere ma il tempo a loro disposizione è poco.
Abbiamo infine i cinque spreco-tipi che superano abbondantemente i 7,06 euro di costo-spreco settimanale per famiglia: il “fanatico del cotto e mangiato”, il “cuoco esagerato”, “l’illuso del packaging”, lo “sperimentatore deluso” e “l’accumulatore ossessionato”.
Altro elemento molto interessante che viene fuori dal rapporto è l’identikit molto dettagliato che viene fatto dello sprecone Made in Italy: “sono in prevalenza maschi, di estrazione medio-alta, giovani, studenti, con intolleranze al glutine o allergie, occupati professionalmente, del sud, con titolo di studio elevato e residenti in un grande comune.
Infine, il rapporto ha cercato di capire quali sono quei prodotti che hanno maggiori possibilità di finire nella spazzatura: si tratta della frutta (51,2%), verdura (41,2%), formaggi (30,3%) e pane fresco (27,8%) tra i cibi “freschi”. Tra gli alimenti cotti, primeggiano invece pasta (9%), cibi pronti (7,9%) e precotti (7,7%).
Lo spreco di cibo è una questione etica, ambientale ed economica che non riguarda solamente il nostro Paese ma tutta la parte ricca del pianeta. Secondo la Fao, infatti, un terzo della produzione globale di cibo è sprecata o persa. Ogni anno, inoltre, nei paesi ricchi viene persa una quantità di cibo equivalente a quella prodotta nell’Africa sub-sahariana (222 milioni di tonnellate contro i 230). Dei numeri che senza troppi commenti fanno comprendere benissimo la situazione paradossale in cui ci troviamo: c’è una parte del mondo che produce tanto di quel cibo che alla fine viene inevitabilmente sprecato e che soffre di problemi come l’obesità, mentre l’altra metà lotta tutti i giorni contro la morte perché il cibo spesso è solo un miraggio.