17 Dicembre 2018
Giorgia Martino
CAMBIAMENTO CLIMATICO
17 Dicembre 2018
Giorgia Martino

Cop 24: conclusione a basso profilo e Stati poco collaborativi

Nonostante l'allarme climatico lanciato dagli scienziati, molti Paesi non vogliono fare marcia indietro sull'utilizzo degli idrocarburi: si firma il Rulebook e si rimanda a tempi migliori

Conclusione a basso profilo per la COP24, dopo dieci giorni (3-14 dicembre) a Katowice in cui si sono riuniti i rappresentanti di circa 200 Paesi del mondo per la Conferenza Onu sul Clima 2018, in vista dell’attuazione dell’Accordo di Parigi, che mira al mantenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.

Ma, in barba alla salute planetaria e globale, molti Paesi non si sono rivelati particolarmente collaborativi, come Stati Uniti, Kuwait, Arabia Saudita e Russia, e come la stessa Polonia, che ha ospitato la COP e che comunque sostiene di non poter mantenere il suo impegno nei confronti dell’utilizzo del carbone. 

Stupore, sgomento e mille punti interrogativi di fronte ad un quasi nulla di fatto, nonostante l’allarme lanciato dall’IPCC sulla necessità di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C per evitare catastrofi irreversibili. Grande delusione, quindi, per gli ambientalisti, rappresentati da Greenpeace secondo cui la COP24 si è conclusa "senza nessun chiaro impegno a migliorare le azioni da intraprendere contro i cambiamenti climatici".

A conclusione di questa Conferenza sul Clima, dunque, pare che il punto a cui si è arrivati non sia all’altezza del pericolo che la Terra corre. Magra consolazione: è stato comunque firmato il Rulebook, il regolamento di 100 pagine firmato dai vari Stati e che rende operativo l’accordo di Parigi, andando a responsabilizzare tutti i Paesi di fronte al global warming. In particolare, si rendono le varie Nazioni responsabili del dover rendere conto delle proprie azioni nei confronti del clima, con una base di norme comuni e di trasparenza. Particolarmente responsabilizzati sono i Paesi più ricchi, che si sono impegnati ad aumentare i finanziamenti nei confronti delle azioni climatiche e di offrire anche un supporto ai Paesi più poveri che sono anche quelli che maggiormente subiscono i danni del riscaldamento globale (oltre ad essere quelli che, per forza di cose, ne provocano meno). Ancora, la Banca Mondiale ha annunciato un finanziamento di 200 miliardi di dollari per cinque anni a sostegno dei governi che mettono in campo politiche concrete contro i cambiamenti climatici.

Per Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, la firma del Rulebook è un minimo sindacale che comunque rappresenta uno spiraglio di luce: “L’approvazione del programma di lavoro sull’accordo di Parigi è la base per un processo di trasformazione che richiederà un’ambizione rafforzata dalla comunità internazionale. La scienza ha chiaramente dimostrato che abbiamo bisogno di maggiore ambizione per sconfiggere il cambiamento climatico. D’ora in poi, le mie 5 priorità saranno: ambizione, ambizione, ambizione, ambizione e ambizione”.

Tra gli altri accordi presi durante questi negoziati, si è anche deciso che il 2020 sarà l’anno in cui i Paesi presenteranno piani climatici più rigidi, e che il 2019 la COP25 (in Cile) sarà il momento in cui i capi di Stato dovranno dimostrare come vogliono agire per l’anno successivo. A tal proposito afferma Guterres: “L’ambizione sarà al centro del Summit sul clima che convocherò a settembre 2019 e deve guidare tutti gli Stati membri mentre preparano i loro contributi determinati a livello nazionale (Ndc) per il 2020 per invertire la rotta del cambiamento climatico”.

Un accordo senza chiare direttive, mentre si rimanda ad anni migliori, a giorni in cui i decisori politici possano sentirsi pronti ad agire e a rafforzare le azioni nei confronti del clima, il tutto mentre gli scienziati ci dicono che il 2030 è vicino, e che non raggiungere gli obiettivi prefissati potrebbe essere fatale, oltre che probabile. E intanto il mondo sta a guardare.

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