16 Dicembre 2012
Gabriele Renzi
CAMBIAMENTO CLIMATICO
16 Dicembre 2012
Gabriele Renzi

Durban, Doha e il futuro del protocollo di Kyoto

Conferenze mondiali sui cambi climatici, Paesi maggiori inquinanti, emissioni di CO2 da rispettare entro il 2020, questi e altri temi ambientali di grande attualità spiegati da Gianni Silvestrini, Direttore Scientifico del Kyoto Club, al microfono della trasmissione radiofonica "A Conti Fatti"

Da Durban 2011 a Doha 2012. Sono state due conferenze sui cambiamenti climatici i cui lavori si sono prolungati anche oltre il tempo previsto, tanto lavoro ma quali risultati?

“Questa è una prassi comune. In tutte le conferenze sul clima si è sempre andati oltre le ore stabilite per cercare raggiungere qualche risultato. In alcuni casi sono stati raggiungi importanti successi, come a Kyoto nel 1997, in altri si è cercato di evitare un disastro dal punto di vista negoziale, questo è il caso di Durban e di Doha.
Il problema è vedere che cosa si è riusciti ad ottenere. A Durban il fatto che entro il 2015 si sarebbe definito l’obiettivo al 2020 per tutti i Paesi, di per sé di grande importanza, anche se molto al di sotto rispetto a quello che la comunità scientifica indica come importante da raggiungere. A Doha si è deciso di far partire il Kyoto 2, quindi di evitare che si interrompesse l’unico protocollo, l’unico elemento di negoziazione che coinvolge più Paesi, anche se in realtà riguarda solo l’Europa e l’Australia”.

Proprio a Doha è stato raggiunto l’accordo per il Kyoto 2, ma i Paesi aderenti sono responsabili solo del 15% dell’inquinamento globale. Quanto ne esce sconfitto o ridimensionato il movimento “ambientalista”, se così possiamo chiamarlo.
“Purtroppo non parliamo di movimento ambientalista perché la preoccupazione mondiale è del mondo scientifico. Si tratta di posizioni che riguardano climatologi, tecnologi ed economisti di tutti i paesi del mondo, centinaia e centinaia di ricercatori russi, cinesi, americani.
Il consenso sul fatto che sia estremamente urgente intervenire e che rischiamo di ridurre sempre di più la possibilità di evitare le conseguenze catastrofiche del clima è una constatazione che nel mondo della comunità scientifica raggiunge un consenso quasi unanime. Questo aspetto non viene percepito dai media perché c’è una campagna di disinformazione che fa ritenere che la comunità scientifica sia divisa, mentre è molto unita.
Ad uscirne sconfitte sono le generazioni future che vedranno dei rischi maggiori rispetto a quelli che comunque ci saranno ma che sarebbero molto più contenuti in caso di un accordo globale. Non tutto è ancora perso; se si riuscirà a raggiungere un accordo che coinvolga tutti i paesi del pianeta non si riuscirà a limitare l’aumento di temperatura a 2°, ormai quasi impossibile, ma si arriverà a 2,5-3°, che è troppo per gli equilibri degli ecosistemi, ma che è sempre di meno di quello a cui si rischierebbe di arrivare in assenza di interventi. Si rischia di avere aumenti di temperatura di 4-6° alla fine del secolo, un esito catastrofico”.

Gli Stati Uniti sono ancora fuori da Kyoto. Lei dalla politica di Obama si aspettava qualcosa di più? Crede sia possibile una svolta durante questo mandato?
“Gli Stati Uniti a Kyoto firmarono il protocollo che poi non venne ratificato dal Senato che era in larghissima maggioranza contrario. Obama si è trovato in una situazione analoga: il Congresso ha approvato una legge che definiva degli obiettivi di riduzione delle emissioni per gli Stati Uniti, ma il Senato si è dimostrato nettamente contrario.
Non credo che nel secondo mandato cambierà la situazione a meno che paesi coma la Cina, il Brasile, l’India non accettino di definire degli obiettivi di contenimento delle emissioni. In questo caso cadrebbe la motivazione principale che spinge il Senato americano a negare il proprio consenso, cioè il fatto di dire che l’America non partecipa fino a quando anche i paesi in via di sviluppo non faranno la loro parte.
La novità potrebbe venire proprio dalla Cina che è diventata leader in questi anni delle tecnologie solari, delle tecnologie eoliche e della green economy in generale ed ha interesse che la green economy si rafforzi. Potrebbe succedere che la posizione della Cina gradualmente si sposti verso una posizione favorevole al raggiungimento di un accordo, in questo caso gli Stati Uniti si troverebbero in un angolo perché non potranno dire di non starci mentre gli altri paesi del mondo ci stanno”.

I Paesi che sono ancora fuori da Kyoto stanno comunque mettendo in campo delle misure adeguate per combattere le emissioni?
“Sì, questo è l’altro elemento positivo perché, anche se non hanno aderito, tutti i paesi stanno facendo qualcosa. Per esempio gli Stati Uniti hanno da poco adottato una regolamentazione che riguarda l’emissione di CO2 delle auto e questo aiuterà a ridurre le emissioni degli Stati Uniti, pur non avendo loro degli impegni precisi. La stessa Cina ha, a livello volontario, adottato un obiettivo di riduzione dell’intensità di carbonio al 2020 e questo aiuterà la riduzione e allo stesso tempo è diventata il primo paese come potenza eolica installata ed è molto avanti anche sul fotovoltaico. Anche in Brasile, India e in molti altri paesi politiche attive ci sono, quello che manca è un obiettivo legalmente vincolante che garantisca che certi livelli di emissione nel pianeta non vengano superati. Questo è il passaggio prossimo che dovrà essere raggiunto entro il 2015”.

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