Sul risultato complessivo ha influito la crisi economica, ma meno di quanto si possa pensare: tra il 2008 e il 2012 il PIL è calato complessivamente del 6%, le emissioni di gas serra di oltre il 16%.
L’Italia centra Kyoto: emissioni di gas serra a -7%. Lo ha annunciato oggi la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, che ha presentato il “Dossier Kyoto 2013”.
Secondo gli studi della Fondazione, nel 2012 le emissioni di gas serra dell’Italia si sono fermate a circa 465/470 milioni di tonnellate di anidride carbonica, oltre 20 milioni in meno rispetto al 2011. La media annua del periodo di verifica 2008-2012 risulta così pari a una riduzione di oltre il 7% rispetto al 1990; l’obiettivo da raggiungere, fissato dal Protocollo rispetto ai valori del 1990, avrebbe dovuto rispettare il 6,5% e il Bel Paese l’ha addirittura sorpassato.
Edo Ronchi ha spiegato che “quindici anni fa in Italia, su questo Protocollo c’era una forte divisione fra chi sosteneva che non fosse necessario e avrebbe comportato solo costi rilevanti e chi riteneva che fosse necessario ridurre le emissioni di gas serra e che questo impegno avrebbe prodotto opportunità largamente prevalenti e non solo ambientali”. Oggi, nel momento del bilancio, è chiaro che “le analisi del partito del ‘Protocollo, costo elevato non necessario’, erano completamente sbagliate sia dal punto dal vista economico (si è raggiunto l’obiettivo senza costi insostenibili), sia ambientale (i gas serra, ormai sono tutti d’accordo, sono alla base della grave crisi climatica)”.
Naturalmente l’applaudito risultato è il frutto della la crisi economica con il calo di consumi e la conseguente riduzione di produzione, ma non solo. Dai dati degli ultimi 7-8 annni emerge il netto miglioramento delle performance ambientali del sistema economico nazionale, confermato da tassi crescenti di riduzione delle emissioni di gas serra e dei consumi energetici per unità di Prodotto interno lordo.
Allargando lo sguardo al di fuori dall’Italia emerge che i paesi industrializzati dell’Annesso I del Protocollo di Kyoto (inclusi gli Stati Uniti), responsabili nel 1990 di oltre la metà delle emissioni mondiali di gas serra e soggetti ad obblighi di riduzione, tra il 1990 e il 2010 hanno diminuito le proprie emissioni di quasi il 9%. È molto probabile che i dati definitivi relativi agli ultimi due anni confermeranno il rispetto dell’obiettivo finale del Protocollo, pari a una riduzione delle emissioni rispetto al 1990 di almeno 5,2% come media del periodo 2008-2012; tuttavia, a causa dell’inaspettata e tumultuosa crescita dei paesi emergenti, in primis la Cina, il modello del Protocollo di Kyoto è risultato inadeguato rispetto all’obiettivo principale della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici dell’Onu: la stabilizzazione delle concentrazioni in atmosfera di gas serra a livelli non pericolosi.
Come sarà possibile quindi raggiungere il necessario risultato consistente di riduzione delle emissioni mondiali? Non con il Protocollo di Kyoto che ha ormai chiuso la sua storia. Non sono convincenti i tentativi di tenerlo formalmente in vita da parte di un gruppo di Paesi che, dopo ulteriori defezioni (compreso quello che ha dato il nome al Protocollo, il Giappone), rappresentano solo il 15% delle emissioni mondiali. L’attenzione oggi si sposta sulle trattative in corso per definire il prossimo accordo globale sul clima, da definire entro il 2015, e che presumibilmente produrrà riduzioni a partire dal 2020. Oramai archiviato il Protocollo di Kyoto, dunque, l’Italia deve guardare agli impegni che verranno, a cominciare da quelli fissati dall’Europa al 2020, su cui peraltro il Paese si mostra abbastanza in asse.
Secondo la Fondazione bisogna spingersi ancora oltre. Per incrementare il proprio contributo alla lotta ai cambiamenti climatici e diventare protagonista della crescita della green economy in Europa e nel mondo, l’Italia dovrà allinearsi alle indicazioni della Roadmap 2050 presentata dalla Commissione europea: secondo l’analisi della Fondazione ciò significherà ridurre le attuali 465/470 MtCO2eq a 440 nel 2020 e a 370 entro il 2030. Obiettivi ambiziosi ma non impossibili.