Con l’approvazione unanime del “Lima call for climate action”, si è conclusa domenica scorsa a Lima la ventesima Conferenza delle Parti sul clima
Gli occhi del mondo in questi giorni erano tutti puntati su Lima. Domenica scorsa infatti, con ben due giorni di ritardo, si è conclusa la ventesima Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Dopo due giorni frenetici di negoziati, si è giunti all’approvazione unanime del “Lima call for climate action”, il testo preparatorio che dovrà essere firmato il prossimo anno a Parigi in occasione della COP 21 e che andrà a superare l’accordo di Kyoto.
“L’intesa raggiunta a Lima rappresenta un importante passo avanti verso Parigi ed è un segnale forte che giunge dalla comunità internazionale”, ha affermato il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti, esprimendo soddisfazione per gli esiti della conferenza. ‘’Dalla conferenza – prosegue il Ministro - con ‘la decisione di Lima’ e la ‘bozza di elementi per il testo dell' accordo del 2015’ è emersa una road map, per arrivare a Parigi con le carte in regola, per siglare un accordo che contenga gli impegni di tutti i paesi sul fronte delle riduzioni delle emissioni”. In particolare, aggiunge Galletti, ‘’la decisione di Lima assicurerà che i contributi per la riduzione delle emissioni che i Paesi presenteranno nei prossimi mesi siano trasparenti, quantificabili, comparabili e adeguati rispetto all’obiettivo di contenere la crescita della temperatura entro la soglia dei 2 gradi”.
Vediamo i punti fondamentali di questo documento: il primo passo è stato confermare il lavoro messo in atto dal gruppo di lavoro ad hoc per la piattaforma di Durban, inaugurato durante la COP 17 a Durban, che, seguendo vari step, definiva le modalità per le riduzioni delle emissioni e, quindi, l’avanzamento di Kyoto.
In questa conferenza è stato dato mandato al medesimo gruppo di lavoro di proseguire le attività già iniziate, accelerando i tempi e alzando il livello di riduzione delle emissioni, per giungere a Parigi con un accordo globale sulla mitigazione dei cambiamenti climatici ma anche sull’adattamento, sugli impegni finanziari e sullo sviluppo e trasferimento di tecnologie per la mitigazione.
Viene, quindi, sollecitato un impegno finanziario da parte dei paesi sviluppati nei confronti di quei Paesi più deboli. Già nell’accordo di Durban, infatti, era stato inserito il Fondo Verde, un impegno finanziario da parte dei Paesi sviluppati per questo importante problema, che prevedeva per il 2020 la raccolta di 100 miliardi di dollari. Ad oggi, si sono già raccolte oltre 10 miliardi di dollari, divenendo il primo finanziatore internazionale su questo tema.
Perché il problema dei cambiamenti climatici è un problema che riguarda tutti i Paesi e tutti devono essere in grado in qualche modo di poter fare qualcosa per la loro risoluzione.
Si chiede ai singoli paesi, inoltre, nel primo trimestre del nuovo anno di stilare una lista di contributi volontari per la mitigazione. Tali contributi devono essere poi passare al giudizio tecnico di specialisti prima di Parigi 2015. Questi piani rappresentano il primo passo per quel piano globale di riduzione delle emissioni che verrà presentato per Parigi 2015.
Nonostante l’euforia del ministro Galletti e del Ministro dell’ambiente peruviano Manuel Pulgar Vidal per i risultati ottenuti, il suddetto accordo è ritenuto da molte Ong , come Legambiente, non molto proficuo e ad alcuni tratti anche debole.
“A Lima - ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - purtroppo i governi sono stati incapaci di sciogliere i nodi relativi alla differenziazione degli impegni nazionali e al sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo, che continuano a bloccare i negoziati verso Parigi. Rimangono ancora ben saldi gli antichi steccati tra paesi industrializzati e in via di sviluppo che l’accordo USA-Cina ci aveva fatto sperare fosse possibile superare. E’ indispensabile che i governi si mettano al lavoro da subito per superare questi steccati e concordare i criteri per differenziare senza ambiguità e in una dimensione dinamica gli impegni dei singoli paesi - ricchi, emergenti e poveri - nel pieno rispetto dell’equità. Solo così – ha concluso Cogliati Dezza - sarà possibile mettere in campo un’azione globale comune, la sola in grado di mantenere il riscaldamento del pianeta sotto la soglia critica dei 2°C, oltre la quale si rischia il punto di non ritorno come non si stancano di ripetere gli scienziati dell’IPCC”.