9 Novembre 2018
Giorgia Martino
CAMBIAMENTO CLIMATICO
9 Novembre 2018
Giorgia Martino

Maltempo e catastrofi naturali: Italia impreparata e fragile

Per Legambiente, WWF, Lav, Lac, Lipu ed Enpa, l'Italia rimedia a disastri ambientali che potrebbe prevenire: richiesto uno stop alla caccia e al consumo selvaggio di suolo

Il maltempo che si è abbattuto sull’Italia nei giorni scorsi ha trovato il nostro Paese debole, fragile, impreparato. E così, insieme alla furia di vento e piogge, sulla nostra penisola si è abbattuto anche tutto il peso dell’incertezza in buona parte dovuta, secondo le associazioni ambientaliste, ad una mancata politica di prevenzione.

Un’Italia che spende per riparare ma non per proteggere e premunirsi dagli eventi climatici più violenti: è questa la fotografia che del Belpaese fa Legambiente, in un comunicato del 4 novembre scorso. “Dal Veneto alla Sicilia, dalla Liguria al Lazio, compresa l’isola di Ischia, sono tanti i territori colpiti in questi giorni e in queste ore dal maltempo con frane, esondazioni, trombe d’aria e tutto ciò che ne è conseguito. Da ultimo la strage di alberi nei boschi del Trentino, dell’Alto Adige, Veneto e Friuli e il maltempo che si è abbattuto sulla provincia di Palermo dove si contano al momento dodici morti. Il clima sta cambiando, ormai è un dato di fatto, eppure l’Italia continua ad essere impreparata”.

Per Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, sono proprio queste emergenze che dovrebbero farci riflettere maggiormente sui rischi idrogeologici che corriamo, nonché sulle conseguenze del cambiamento climatico che si ripercuotono sul nostro territorio. Anche lui pone la fatidica domanda: perché si sottovaluta la prevenzione? Tra le cause del dissesto geologico, infatti, non bisogna dimenticare il consumo di suolo dovuto ad un’espansione edilizia urbana che non tiene conto delle aree fragili.

Secondo recenti dati ISPRA, infatti, il territorio urbanizzato negli anni ’50 del secolo scorso ricopriva il 2,7% della superficie nazionale, mentre si è quasi triplicato nel 2017 raggiungendo il 7,7%. E spesso, purtroppo, si continua a costruire anche nelle aree a rischio frane e alluvioni: il dossier Ecosistema Rischio 2018 di Legambiente afferma che “nonostante nel 78% dei casi (1145) le perimetrazioni definite dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) siano state integrate ai piani urbanistici, nel 9% delle amministrazioni si è continuato a costruire anche nelle aree a rischio nell’ultimo decennio”.

Una gestione che la stessa nota di Legambiente definisce ‘dissennata’, visto l’alto numero di persone esposte a rischi di frane e alluvione: secondo dati Ispra 2018, si parla di 7275 comuni (il 91%) e 7,5 milioni di abitanti.

Un’Italia, dunque, che si perde nelle riparazioni dei danni da dissesto ma che non previene e non protegge il proprio territorio: Legambiente ricorda proprio che, tra il 1944 e il 2012, sono stati spesi ben 61,5 miliardi solo per i danni provocati dagli eventi estremi, e che l’Italia è tra i primi Paesi al mondo che spende ogni anno una media di 3,5 miliardi per rimettere a posto ciò che è stato danneggiato da disastri ambientali.

Continua Zampetti: “Per mettere in campo tutto questo servono risorse adeguate e continuative. Per questo abbiamo proposto già a partire dalla prossima finanziaria di prevedere un fondo di almeno 200 milioni di euro all’anno, per l'erogazione di finanziamenti da destinare ai Piani Clima da parte dei Comuni, e a progetti di adattamento ai cambiamenti climatici, oltre le risorse necessarie per interventi di manutenzione, riqualificazione e riduzione del rischio, a partire dagli spazi pubblici e di allerta dei cittadini. Ma di tutto questo purtroppo nella nuova proposta di finanziaria non ve ne è traccia”.

Gli eventi catastrofici recenti, tuttavia, non sono stati un dramma solo per gli uomini e l’ambiente, ma anche per la fauna e la biodiversità. Proprio per questo le associazioni ambientaliste Enpa, Lac, Lav, Lipu e WWF hanno inviato l’8 novembre una lettera aperta al Ministro dell’Ambiente Sergio Costa: “Duole constatare che l'attenzione generale, oltre che, come è giusto, sulla perdita di vite umane e sulla sofferenza delle persone, si sia concentrata sulle ripercussioni economiche e sociali, ma non sul nostro prezioso patrimonio di vita selvatica. Un paradosso inaccettabile: come se la cancellazione delle foreste cancellasse dalla coscienza collettiva la consapevolezza della condivisione con le altre specie del territorio ed il loro diritto alla vita”.

La lettera chiede un’azione decisa per preservare la fauna selvatica e la biodiversità italiana: richiedere lo stato di calamità anche per gli animali selvatici e l’ambiente. Per questo, nelle undici regioni che hanno chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza, le associazioni in questione chiedono di imporre il divieto di caccia.

Conclude la lettera: “Le popolazioni di animali selvatici sono stremate, hanno subito una gravissima riduzione degli habitat e quindi delle risorse a disposizione per prepararsi all’inverno. Cacciare in questo contesto rappresenta un vero atto di irresponsabilità, sia nei confronti degli animali selvatici, sia nei confronti della stragrande maggioranza degli italiani per i quali questi animali rappresentano un prezioso patrimonio tutelato dalla legge e dalla Costituzione”.

L’immagine che trapela dai dati, dai fatti e dai numeri è quella di un’Italia che non controlla il proprio benessere e la sicurezza di chi vi abita. Un’Italia che gestisce male il proprio patrimonio economico e naturalistico. Un’Italia che ha i mezzi per pianificare meglio l’incolumità di esseri umani, animali, flora e fauna ma che non li mette in atto. Le denunce delle associazioni ambientaliste che proteggono la natura invocano dunque una maggiore attenzione politica, l’unica che possa attuare una pianificazione costante e lungimirante al fine di rafforzare il nostro Paese di fronte alle emergenze climatiche e ambientali.

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