Le proposte di Legambiente per ridurre lo smaltimento dei rifiuti nelle discariche
Il 39% dei rifiuti urbani finisce sotto terra, ben 11,7 milioni di tonnellate ovvero 196 kg per abitante in un anno. Senza dimenticare che ancora nel 2012 erano attive ben 186 discariche in tutta la penisola. Questi dati parlano chiaro: l’Italia continua a smaltire troppi rifiuti in discarica. La situazione viene messa nero su bianco nel rapporto di Legambiente presentato lo scorso 19 novembre a Roma nel corso del convegno “Ridurre e riciclare prima di tutto”. La situazione che l’Associazione ambientalista ci mostra di certo non ci riempie d’orgoglio: nel 2012 la metà delle regioni italiane smaltiva in discarica più del 50% dei rifiuti urbani. Le regioni peggiori sono risultate la Sicilia (83% dei rifiuti urbani smaltiti in discarica, 404 kg per abitante), Calabria (81%, 356 kg/ab) e Liguria (66%, 388 kg/ab). Il record per quantitativi smaltiti sotto terra in valore assoluto spetta però al Lazio (2,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani), seguito dalla Sicilia (2 milioni di tonnellate) e dalla Puglia (1,2 milioni di tonnellate).
Delle 186 discariche attive nel 2012, 79 erano al Nord, 66 al Centro e 41 al Sud. La regione col maggior numero di impianti è l’Emilia Romagna (18), seguita da Piemonte (16), Sicilia, Toscana e Trentino Alto Adige (14). Questi numeri evidenziano come la normativa europea riguardo proprio questa pratica non è stata ancora recepita correttamente nel nostro Paese. Questa, infatti, prevede, oramai da più di vent’anni, che lo smaltimento in discarica diventi un’opzione residuale dopo prevenzione, riciclaggio e recupero.
L’Italia, quindi, non è certamente un caso esemplare di gestione dei rifiuti, con gravi conseguenze non solo sul piano ambientale, sicuramente il più importante, ma anche su quello economico: la Commissione europea ha, infatti, avviato diverse procedure d’infrazione sulle nostre discariche e se l’Italia non intraprenderà le bonifica spenderà in multe più di quanto spenderebbe per concludere le operazioni di risanamento ambientale delle aree in cui insistono gli impianti.
Il problema principale che va prima fra tutti affrontato è quello del basso costo di smaltimento dei rifiuti in discarica in determinati territori: ad esempio in Puglia il costo medio è di 50 euro per tonnellata, mentre nel Lazio si va dai 40 ai 70 euro/t. Quando i costi sono alti, diventa più conveniente sviluppare la differenziata e il riciclaggio, come dimostrano le regioni più all’avanguardia su questo fronte: è il caso del Veneto (differenziata pari al 63%) dove il costo della discarica arriva fino a 150 euro/t o del Trentino (differenziata pari al 62%) con i suoi 119 euro/t. E proprio partendo da questo punto l’Associazione ambientalista lancia delle proposte per la risoluzione di questo problema e che prevede un nuovo sistema di incentivi e disincentivi per fare in modo che prevenzione e riciclo risultino più convenienti, anche economicamente, rispetto al recupero energetico e allo smaltimento in discarica. Ma in che modo? Tartassando lo smaltimento in discarica, diventa la parola d’ordine: che vuol dire eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti, incentivare il riciclaggio perché diventi più conveniente del recupero energetico, promuovere serie politiche di prevenzione con il principio “chi inquina paga”. Ecco le proposte di Legambiente:
1. Tartassare lo smaltimento in discarica: Per disincentivare l’uso in discarica il rispetto della direttiva europea non basta, serve utilizzare la leva economica per imporre un aumento dei costi di conferimento. Tutte le Regioni italiane devono fissare a 25 euro per tonnellata l’entità del tributo regionale per i rifiuti che vengono smaltiti in discarica dopo il pretrattamento. Partendo da questa cifra, le Regioni devono però modulare il pagamento del tributo speciale per lo smaltimento in discarica in base a un criterio di premialità/penalità, basato sull’entità del superamento degli obiettivi di legge sulla percentuale di raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio. Maggiore sarà il superamento, maggiore sarà lo sconto sull’ecotassa praticato ai Comuni virtuosi.
2. Eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti: nonostante l’Europa indica di perseguire la prevenzione dei rifiuti e il riciclaggio prima del recupero energetico, queste due opzioni non hanno mai avuto lo stesso trattamento di favore riservato alla combustione dei rifiuti. Si deve approvare una norma che blocchi l’erogazione degli incentivi per eventuali nuovi inceneritori, per la combustione dei rifiuti (css) nei cementifici e nelle centrali a carbone, salvaguardando solo quelli per la produzione di biogas dai rifiuti organici differenziati.
3. Incentivare il riciclaggio perché diventi più conveniente del recupero energetico: è fondamentale passare più in generale dalla logica degli incentivi solo per le raccolte differenziate a quelli anche per il riciclaggio. Si deve prevedere innanzitutto un regime di Iva agevolata (ad esempio al 10%) per i prodotti o manufatti realizzati con una percentuale minima di materiale riciclato.
4. Promuovere serie politiche di prevenzione con il principio “chi inquina paga”: Il ministero dell’Economia e quello dell’Ambiente devono rivedere il nuovo tributo sui rifiuti (la Tari, ex Tares), calcolandolo solo, come già avviene efficacemente in centinaia di Comuni, sulla effettiva produzione di rifiuti indifferenziati (determinabile secondo peso, volume o numero dei prelievi dei sacchi o bidoni), permettendo alle utenze più virtuose di pagare meno, sganciandolo dalla quota relativa ai cosiddetti servizi indivisibili e garantendo la copertura totale dei costi del servizio.