L'agenzia dell'ONU denuncia l'aumento del fenomeno su scala mondiale. La maggioranza dei minori lavoratori sono sfruttati per l'agricoltura. Le cause? Povertà, negazione dei diritti e mancanza di alternative.
A troppi bambini è negato il diritto a un'infanzia orientata alla formazione fisica e culturale. In tutto il mondo infatti 152 milioni di giovani tra i 5 e i 17 anni sono sfruttati per lavori manuali. Oltre il 70% di loro viene sfruttato in agricoltura, allevamento, pesca e silvicoltura; una percentuale che sale all'85% in Africa.
Con queste statistiche la FAO ha recentemente denunciato la grande parte di responsabilità dei produttori di cibo nella piaga del lavoro minorile. I giovani mandati nei campi, sui pescherecci, nelle foreste o sui pascoli prima di diventare adulti, non solo perdono l'opportunità di istruirsi a sufficienza per migliorare le proprie condizioni di vita, ma corrono anche il rischio di non svilupparsi correttamente nel fisico a causa dell'eccessiva fatica e dei possibili infortuni che comportano per loro questi lavori manuali.
La FAO, nell'appello diramato da Bruxelles, ha anche sottolineato che le risorse destinate alla lotta al lavoro minorile dai paesi e dalle organizzazioni internazionali, sono troppo concentrate sulle catene di approvvigionamento globale, mentre si trascurano i piccoli produttori che sfruttano allo stesso modo questa forza lavoro a basso costo.
Il fenomeno purtroppo è in aumento, visto che dal 2012 il numero di giovani sfruttati in agricoltura è cresciuto di 10 milioni.
Le cause all'origine del lavoro minorile in zone rurali sono, come è facile immaginare, lo stato di povertà delle famiglie, le scarse alternative di sostentamento, il ridotto accesso all'istruzione, l'inesistenza o la mancata applicazione di norme sui diritti dei lavoratori.