6 Novembre 2016
Gabriele Renzi
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6 Novembre 2016
Gabriele Renzi

Forum Greenaccord: Impegni volontari non bastano per frenare emission CO2. Urgono investimenti per l’ambiente

Il 13° Forum internazionale dell’informazione ambientale chiude alla vigilia della Cop22: “A Marrakech si mettano al centro i diritti dei popoli”

Nessun patto sul clima potrà essere efficace se non sarà supportato da un piano di investimenti messo in campo da tutti gli attori internazionali.
Chiude con questa considerazione il 13° Forum internazionale dell'Informazione ambientale, organizzato dall'associazione Greenaccord in collaborazione con il ministero dell'Ambiente e degli Esteri.
La manifestazione, che da Rieti è stata spostata a Frosinone a causa dello sciame sismico che nei giorni scorsi ha sconvolto il centro Italia, ha coinvolto esperti provenienti da ogni parte del mondo per discutere di clima alla luce dell’imminente apertura dei lavori della Cop22 di Marrakech.

 
Da Parigi a Marrakech per passare dalle parole ai fatti
“Per noi l’accordo COP21 è come bella casa a cui mancano ancora arredamenti e infissi”, ha spiegato in apertura dei lavori Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord, facendo notare come dall’importante risultato politico raggiunto un anno fa a Parigi sia ora necessario passare urgentemente ai fatti, fatti che allo stato attuale ancora non lasciano presagire l’uscita dalla crisi climatica.
 
Gli impegni assunti dai paesi che hanno ratificato l’accordo di Parigi potrebbero, infatti non essere sufficienti come ha fatto notare Riccardo Valentini del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici: “Fino al 2020 l’accordo è ancora in fase negoziabile ed è dimostrato che gli impegni volontari portano il riscaldamento globale alla soglia dei 3 gradi, ben al di sopra dei 2 che rappresentano l’ambizione minima di Parigi”.
Altro aspetto da sottolineare, ha aggiunto il rappresentante del CMCC “è che molto della crescita delle emissioni è proprio nei Paesi in via di sviluppo che vanno messi nelle condizioni di utilizzare tecnologie che risolvano il problema delle emissioni. Il tema della responsabilità differenziata è importante perché mette tutti d’accordo anche se con target imposti dal basso, ovvero dai singoli Stati”.
 
Serve indicare la strada con molta concretezza come ricorda anche il direttore scientifico di Greeaccord, Andrea Masullo.
“Il vero punto debole della COP21 è la mancanza di una roadmap precisa che si rivolga agli impegni nazionali volontari con obiettivi specifici” fa notare Masullo, che poi ricorda il rischio cui è seriamente esposto anche il nostro Paese, vulnerabile ad un aumento di temperature fino a un 8° come gran parte dell’area mediterranea: “nel nostro Paese, gli scenari climatici portano risultati drammaticamente sorprendenti, perché da noi, se non saranno attivate politiche concrete di contrasto al climate change, le temperature potranno aumentare il doppio rispetto alla media mondiale”.
 
Investimenti per l’ambiente
Nessun patto sul clima potrà mai essere efficace se non sarà supportato da un piano di investimenti messo in campo da tutti gli attori internazionali.
“La COP 21 di Parigi è figlia di una grande azione di diplomazia ambientale fondata su una base scientifica molto solida” ha spiegato Michele Candotti, dell’Agenzia Onu per l’Ambiente (Unep). “Un accordo che ha messo in rete una serie di obiettivi di sviluppo sostenibile senza mettere in discussione le sovranità nazionali, che al contrario sono state responsabilizzate”.
Il vero gap che deve essere colmato dopo Parigi, ha osservato il rappresentante di Unep, “è però la mancanza di flussi finanziari adeguati per la realizzazione di politiche sostenibili” e da questo punto di vista “mi auguro che l’Italia, che il prossimo anno prenderà la presidenza del G7, potrà svolgere un ruolo da protagonista”.
 
Altro nodo emerso è quello degli investimenti necessari alla transizione ad un'economia più attenta agli equilibri ambientali.
Secondo il direttore generale aggiunto della FAO René Castro Salazar“I 100 miliardi previsti per il Green Climate Fund (il fondo internazionale istituito dopo la Cop16 di Cancun 2010 per finanziare progetti di green economy) non saranno sufficienti per finanziare tutte le attività di adattamento e mitigazione necessarie a raggiungere l'obiettivo di mantenere sotto i 2°C l'innalzamento della temperatura fissato durante la COP21 di Parigi.” Castro ha ricordato inoltre come al momento di questi 100 miliardi ne siano stati stanziati appena 10 miliardi, pochini se si pens ache l’obiettivo è di arrivare a 100 entro il 2020.
 
Un trust per l’ambiente
Occorre fare di più, insomma, e c’è chi come Robert Costanza, professore di Public Policy alla Crowford School dell'Australian National University, propone di creare un “Trust dell'Atmosfera terrestre”, una sorta di sindacato dell’ambiente per permettere di chiedere un risarcimento dei danni per le emissioni di gas climalteranti causate dalle grandi imprese e per finanziare programmi di mitigazione: “considerare l'atmosfera un bene comune che, pertanto, va mantenuto integro per le future generazioni” dichiara Costanza che aggiunge: “Ai sensi del diritto nazionale e internazionale esistente noi come cittadini possiamo rivendicare efficacemente i diritti di proprietà sull'atmosfera del pianeta. Se tutti noi 'possediamo collettivamente il cielo', possiamo ricorrere alle istituzioni giuridiche esistenti per proteggere questa proprietà collettiva, costringendo gli inquinatori a pagare per i danni a questo patrimonio.”.
 
 
Popolazioni al centro
L’appello diretto a Marrakech è poi quello di mettere al centro del dibattito il rispetto dei diritti umani e delle diversità come elemento chiave nelle politiche di sviluppo sostenibile. Una strategia basata sulle popolazioni più fragile e non calata verticalmente su di esse.
“Il 60% della Terra è gestita da comunità locali, ma solo il 10% è riconosciuta ufficialmente di loro proprietà”, ha spiegato Francesco Martone, esperto di questioni climatiche e diritti dei popoli indigeni, secondo cui il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione dei popoli indigeni “deve essere considerato un elemento costitutivo nei tavoli internazionali”. Un tema, quello dei diritti umani, che secondo Martone è affrontato nell’accordo di Parigi “in modo troppo vago, senza considerarlo come un obiettivo chiave dello sviluppo sostenibile che deve rispettare le diversità”.

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