Secondo un recente Rapporto FAO-GFCM, nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero il sovrasfruttamento ittico è diminuito negli ultimi anni, ma restano ancora preoccupanti i numeri della pesca non sostenibile
Il sovrasfruttamento delle specie ittiche a fini commerciali è uno dei più grandi drammi che affliggono la biodiversità del Mar Mediterraneo e del Mar Nero. Tuttavia, da un recente rapporto FAO-GFCM (Food and Agricolture Organization e General Fisheries Commission for the Mediterranean) si può trarre un piccolo barlume di speranza.
Il Rapporto “Lo stato della pesca nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero” è stato presentato lo scorso 11 dicembre, in occasione del primo forum GFCM sulla pesca, il FishForum 2018, organizzato presso la sede della FAO dal 10 al 14 dicembre 2018. Questo forum nasce come riconoscimento del ruolo fondamentale degli strumenti scientifici per migliorare la sostenibilità della pesca.
La ‘buona notizia’ del Rapporto riguarda una leggera riduzione percentuale degli stock sovrasfruttati, che è scesa del 10% in due anni, dall’88% del 2014 al 78% del 2016. Il documento ribadisce che, comunque, sono necessari ulteriori sforzi per garantire la sostenibilità a lungo termine delle risorse ittiche.
Come si legge nella nota FAO, questo si può tradurre in varie azioni, come il sostegno per il settore della pesca su piccola scala, la riduzione delle catture accidentali e dei rigetti (ossia del pesce catturato accidentalmente e rigettato in mare agonizzante o già morto), la riduzione significativa della pesca e la creazione di zone soggette a restrizioni della stessa.
Le restrizioni sono fondamentali soprattutto per alcune specie: si legge nel report che la specie più soggetta al sovrasfruttamento ittico è il nasello europeo nel Mar Mediterraneo (che viene pescato quasi 6 volte oltre il suo livello sostenibile), seguito dal rombo nel Mar Nero e poi, ancora, dal sugarello sempre nel Mediterraneo.
Risultano invece pescati entro i limiti della sostenibilità le specie di piccole dimensioni (sardine o acciughe), le triglie rosse e i gamberetti rosa.
Nel Rapporto si sottolinea che, sebbene i livelli di cattura siano diminuiti di poco negli ultimi anni, si sono comunque ridotti di molto rispetto agli inizi degli anni ’80: si parla infatti di 1,2 milioni di tonnellate nel 2016 rispetto a 2 milioni di tonnellate di pesce pescato nel 1982, facendo riferimento al Mar Mediterraneo e al Mar Nero. Gli 1,2 milioni di tonnellate comprendono 830 mila tonnellate di pesce pescato nel Mar Mediterraneo e 390 mila tonnellate di pesce pescato nel Mar Nero, e si tratta principalmente di piccoli pesci come sardine e acciughe.
In tutta la regione analizzata, la pesca commerciale nel periodo 2014-2016 vede tra i Paesi più attivi in questo senso la Turchia (321.800 tonnellate), seguita da Italia (185.300 tonnellate), Algeria (96.300 tonnellate) e Grecia (65.700 tonnellate).
Le preoccupazioni principali, oltre al sovrasfruttamento degli stock ittici, riguardano anche gli scarti e i rigetti dovuti alla cattura accidentale di specie che non erano nell’obiettivo dei pescatori. Ogni anno vengono scartate circa 230 mila tonnellate di pesce nel mediterraneo, ossia il 18% del totale, mentre nel Mar Nero i rigetti sono stimati di circa 45 mila, ovvero il 10-15% delle catture totali.
Tra le specie a rischio di estinzione che si ritrovano ad essere maggiormente vittime delle catture accidentali, vi sono le tartarughe marine (che secondo il Rapporto compaiono 8 volte su 10 nelle segnalazioni di catture accidentali), seguite da squali, razze, uccelli marini e mammiferi marini.
Per la FAO, Miguel Bernal, responsabile del settore pesca, ha dichiarato: “La sostenibilità può essere costosa a breve termine, ma non c’è niente di più costoso che rimanere senza pesce”.
Affermazione sostenuta anche dal pensiero di Abdellah Srour, segretario esecutivo della GFCM: “La pesca fornisce alla regione un importante equilibrio socio-economico”.
E, a proposito di economia, nel documento si legge che la pesca di cattura marina nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero produce un reddito annuo stimato di 2,8 miliardi di dollari, andando ad impiegare poco meno 250 mila persone. Al contrario, i pescherecci di piccole dimensioni generano il 59% dell’occupazione nel settore, ma il 26% delle entrate totali perché i piccoli pescatori guadagnano la metà dei loro ‘colleghi’ a cattura. Si rendono necessarie, dunque, norme specifiche di restrizione che regolino la situazione nel suo complesso, nel rispetto delle riserve ittiche e dei lavoratori.