14 Novembre 2018
Giorgia Martino
ECOSISTEMI E BIODIVERSITÀ
14 Novembre 2018
Giorgia Martino

Specie aliene nel Mediterraneo: per i ricercatori, sono una "minaccia per la biodiversità"

Lo studio è stato effettuato nel golfo della Spezia dai ricercatori di ENEA, Università di Pavia e SERC: individuati anche organismi marini dell'Oceano Pacifico

Gli ecosistemi marini possono essere alterati dall’arrivo di specie aliene: è quanto affermano i ricercatori di ENEA, Università di Pavia e SERC (Smithsonian Environmental Research Center) che hanno effettuato una ricerca presso il Golfo della Spezia.

Gli studiosi, infatti, hanno individuato nei nostri mari specie non autoctone, come piccoli organismi marini originari delle Galapagos, minicrostacei giapponesi e plancton provenienti dal sud-est asiatico.

La scoperta è avvenuta tramite il posizionamento di 50 pannelli in PVC a un metro sotto il livello del mare. Dopo tre mesi, i pannelli sono stati analizzati dal Centro Ricerche Ambiente Marino dell’ENEA di Santa Teresa sul Golfo di La Spezia, e si è notato che ogni pannello era stato colonizzato sia da specie nostrane che non.

Racconta Agnese Marchini del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Pavia: “Ogni pannello è stato colonizzato da un’abbondante comunità di specie native e non, alcune ancora mai segnalate nel golfo della Spezia, come ad esempio la specie di briozoo Watersipora arcuata, proveniente dall’Oceano Pacifico. Le specie aliene, in continuo aumento nel Mediterraneo, alterano le comunità e gli ecosistemi marini e rappresentano una minaccia per la biodiversità”.

Lo studio ha permesso anche di analizzare gli eventuali percorsi di introduzione delle specie non autoctone, nonché di comprendere i siti che più si prestano alle invasioni biologiche: secondo Chiara Lombardi del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi produttivi e Territoriali ENEA, il golfo della Spezia è “un’area molto interessante per questo tipo di studi, in quanto presenta diversi siti considerati ad alto rischio di introduzione di specie non native”.

I modelli che sono stati seguiti per questo studio sono quelli statunitensi, che sono stati ‘ricalcati’ per il Mediterraneo. Ha infatti affermato Michele Repetto del SERC: “Siamo riusciti a dimostrare che questo protocollo ideato per ambienti costieri oceanici è applicabile come standard internazionale anche in un contesto mediterraneo e renderà possibile confrontare dati provenienti da diverse parti del mondo monitorando nel tempo diversità e abbondanza di specie marine non-indigene in siti ad alto rischio di introduzione, come porti, marine turistiche e impianti di mitilicoltura”.

Per comprendere ulteriormente quali sono i siti del Golfo della Spezia più soggetti ad invasioni biologiche, saranno effettuati ulteriori studi da parte dei ricercatori nei prossimi mesi: l’obiettivo è quello di capire a fondo l’origine e l’evoluzione di questi fenomeni nel Mediterraneo.

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