14 Maggio 2019
Gabriele Renzi
ECOSISTEMI E BIODIVERSITÀ
14 Maggio 2019
Gabriele Renzi

Un milione di specie a rischio estinzione. WWF: “Indebolire sistemi naturali mette a repentaglio lo stato di salute dell'umanità”

Gianfranco Bologna: abbiamo stravolto la circolarità della natura con i nostri modelli di produzione lineari. Dobbiamo cambiare strada, questa ci porta contro un muro.

Pochi giorni fa l’IPBES, il panel intergovernativo ONU su biodiversità e servizi ecosistemici, l’equivalente di ciò che il più famoso IPCC rappresenta per i cambiamenti climatici, ha pubblicato un rapporto sullo stato di salute della biodiversità mondiale che è stato accolto con molta comprensibile preoccupazione.

Secondo i 145 esperti provenienti da tutto il mondo, che per confezionare il report hanno revisionato circa 15.000 fonti scientifiche e governative, un milione di specie, tra animali e vegetali, sono a rischio estinzione in un prossimo futuro.

Colpa di deforestazione, inquinamento atmosferico e idrico, sovrappesca: tutti fenomeni di origine antropica che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di interi habitat e conseguentemente delle specie che li popolano. È uno dei segni dell’antropocene, termine coniato circa 35 anni fa dal biologo statunitense Eugene Stoermer per indicare un'epoca geologica, quella attuale, in cui l’uomo e le sue attività sono le cause principali delle modifiche del pianeta.

Su Ecosistema, programma di Earth Day Italia trasmesso da Radio Vaticana Italia, se ne è parlato con Gianfranco Bologna, direttore scientifico del WWF Italia.

 

Secondo il Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services recentemente presentato dall‘IPBES, un milione tra specie animali e vegetali sarebbero a rischio estinzione in un prossimo futuro. Questo dato vi sorprende?

No, non ci sorprende affatto.

Il lavoro straordinario di questo rapporto è che, mettendo insieme specialisti di altissimo livello in tutto il mondo, ha consentito una serie di elaborazioni che prima non erano così raffinate perché stiamo parlando di temi molto complessi. Noi attualmente non sappiamo neanche quante specie viventi siano presenti sulla Terra: abbiamo una catalogazione di specie riconosciute che si aggira intorno al milione e ottocentomila, ma il rapporto ci da un'analisi molto più precisa e attenta di tutte quelle che si presume possano essere le specie esistenti e si parla di circa 8 milioni, il che vuol dire che una valutazione rispetto agli attuali tassi di estinzione, da l'indicazione di un milione di specie a rischio.

Questo in parole povere vuol dire una specie su 8 e credo che questo dia il segnale della gravità estrema in cui ci troviamo. 

Il vero problema per cui ci dobbiamo fortemente preoccupare, e il rapporto lo dice credo con una chiarezza cristallina, è che, essendo parte fondamentale della natura, noi dipendiamo dalla natura, senza la natura non possiamo vivere: se non abbiamo acqua pulita, aria pulita, suolo pulito e i servizi che questi sistemi naturali quindi gli ecosistemi del pianeta ci offrono, non andiamo da nessuna parte, non abbiamo né benessere né sviluppo.

Ovviamente se rendiamo i sistemi naturali sempre più deboli, sempre più non sani e insalubri, cosa che purtroppo facciamo quotidianamente, questo in una dimensione globale mette a repentaglio lo stato di salute dell'umanità.

 

Presentando il rapporto il presidente dell’IPBES, Robert Watson, ha dichiarato “Stiamo erodendo le basi stesse delle nostre economie, i nostri mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare, la salute e la qualità della vita in tutto il mondo”. Noi la causa di tutta questa situazione e noi ne subiremo le conseguenze principali. Come si dice spesso anche parlando di cambiamento climatico alla fine il mondo sopravvivrà, siamo noi quelli più a rischio.

Non c’è alcun dubbio.

Nel 2020 avremo la scadenza di diversi target dell'agenda 2030 approvata da tutti i governi nel mondo nel 2015, avremo una rivisitazione globale perché è terminato il piano strategico di dieci anni della Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite ed avremo la verifica dell'avvio della dell'accordo di Parigi con l’inadeguatezza palesata e oramai ben dichiarata degli stessi piani nazionali che erano stati portati già a Parigi, i contributi volontari che le singole nazioni davano per arrivare al famoso obiettivo di restare sotto i due gradi centigradi di incremento della temperatura media della superficie terrestre rispetto all'era preindustriale, facendo il possibile per mantenersi entro un grado e mezzo.

Abbiamo quindi una sorta di anno super, non non a caso a livello internazionale lo chiamano super year, perché queste tre scadenze dovrebbero portarci a capire che questa emergenza, che per grazia di Dio oramai è scatenata anche da questa meravigliosa reazione degli adolescenti che sono coloro che avranno il mondo da gestire rapidamente nei prossimi decenni, è una emergenza per tutti.

Il rapporto dell'IPBES, come chiunque si occupi di questi problemi sa bene, mette in strettissima correlazione il problema climatico col problema della perdita di biodiversità, anche se come sappiamo non è l'unico driver che produce la perdita di biodiversità.

Come giustamente ricordavi prima nella frase che ha detto Bob Watson siamo noi la causa di questo problema e paradossalmente siamo noi quelli che me ne subiremo tantissime conseguenze, ovviamente anche qui con grandi disuguaglianze che non possono essere accettate per un futuro che vorremmo tutti fosse più roseo dell'attuale.

 

Parallelamente alla presentazione del report a Metz i Ministri dell’Ambiente riuniti nel G7 siglavano la “Carta di Metz sulla biodiversità”. Questo servirà a qualcosa? Penso anche al fatto che nel documento finale si ribadisce l’intenzione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’Accordo di Parigi sul clima.

Per carità, tutte queste queste cose sono da vedere con con un'ottica positiva e danno il senso che un po’ di vivacità nella mobilitazione ci sia, anche se non credo purtroppo che questo cambierà tutto.

Io sono convinto che ci sia bisogno di tanti pezzi, ora c’è il consiglio europeo pur tenendo conto che poi ci sono anche le elezioni europee, più cose si muovono più, si riesce a far capire a tutti i cittadini del mondo in forme diverse e con linguaggi diversi che la visione del modo con cui noi ci relazioniamo con la natura deve essere cambiata.

La natura si muove con processi circolari e nel processo circolare non esiste lo scarto, il rifiuto e l'inquinamento; attraverso il modo con cui noi interveniamo sulla natura, abbiamo fatto in modo che i processi circolari della natura siano diventati processi lineari che inevitabilmente portano allo scarto, al rifiuto, all'inquinamento.

Da una parte l'umanità aumenta l'impatto sull'ambiente e sulle risorse naturali, ne richiede sempre di più come se fossero in una cornucopia, e sappiamo benissimo che non è così perché i limiti biofisici della terra sono ben delineati, e dall'altra addirittura indebolisce la capacità ricettiva di quello che è il rifiuto prodotto dalle nostre filiere produttive; quindi noi indeboliamo due volte l'ambiente, perché ne sottraiamo troppo, più della capacità rigenerativa, e perché lo insultiamo buttandoci pure i rifiuti, gli scarti e gli inquinamenti siano essi solidi, liquidi o gassosi.

È un circolo vizioso perverso che va bloccato e questo è il motivo per cui tanto si parla di economia circolare perchè, lo dice in con grande chiarezza anche il rapporto IPBES, per affrontare questo problema dobbiamo trasformare il modo con cui ci relazioniamo al mondo naturale e questo vuol dire in modo in cui fai industria, in cui fai economia, il modo con cui indichi il valore di qualcosa perché se natura, i sistemi naturali, la ricchezza della vita sul nostro pianeta non può essere senza valore o uno sfondo solo per passarci un weekend.

Se nella legge di bilancio questa cosa non ha valore, nessuno la considererà e la natura e gli ambienti naturali saranno semplicemente o un qualcosa da depredare, o un qualcosa che serve come sfondo dove mettere le case, fare infrastrutture e modificare il territorio.

Meno di un quarto delle terre emerse è ancora in condizioni naturali e un 66% delle aree marine oceaniche è compromessa: evidentemente c'è qualcosa che non funziona nel modo con cui tu fino ad oggi abbiamo condotto questa situazione.

 

A proposito di impatto dell’uomo sull’ambiente pochi giorni fa, il 10 maggio come hanno fatto notare WWF e Global Footprint Network, è stato l’overshoot day per l’Europa, cioè il giorno in cui gli europei possono considerare esaurito il budget di risorse naturali a loro disposizione. Stiamo consumando un pianeta a credito?

L'impronta ecologica è un metodo un metodo di calcolo che ha avuto un grande successo perché anche maieuticamente è molto significativo perché ti fa vedere il piedone, ti fa vedere quanto pesi nei confronti dei sistemi naturali. Come tutti i metodi di calcolo che mettono insieme tanti fattori può essere anche impreciso, ma posso dire con grande franchezza che, se lo è, lo è sicuramente per difetto e non certo per eccesso.

Ne fanno parte sei componenti di base che esplodono tutta quella che è la biocapacità, la capacità produttiva biologica che i sistemi naturali mettono a disposizione dell'umanità. 

Questa biocapacità viene distinta in prodotti che vengono dagli ambienti forestali, in quella che è la trasformazione del terreno in terreno coltivato, in terreno pascolivo, in terreno edificato o infrastrutturato e, per quanto riguarda il mare e le acque, gli impatti dovuti alla sottrazione di alimenti che vengono dal mare quindi parliamo di risorse alieutiche, pesca, eccetera; si aggiunge a questi il valore delle emissioni di carbonio della singola nazione, della singola regione e del singolo comune perché si possono operare questi calcoli su tutte queste varie realtà e quindi ovviamente anche sul pianeta nel suo complesso.

Questi sei fattori costituiscono l’impronta ecologica.

Oggi sappiamo che a livello mondiale abbiamo un impronta ecologica che che per essere mantenuta avrebbe bisogno di 1,7 terre e per quanto riguarda il dato europeo, se tutti quindi utilizzassero le risorse indicate nel calcolo dell'impronta ecologica come l'europeo medio, sarebbero necessarie 2,8 Terre per sostenere questa domanda.

Questo vuol dire che siamo in overshoot, siamo oltre quelle che sono le capacità rigenerative della Terra, e continuo a sottolineare l'aspetto legato al fatto che siamo su calcoli per difetto.

È un dato interessante che aggiunge un ulteriore strumento di analisi ai discorsi che lo stesso IPBES ha fatto sotto altre forme e con altri dati, dati che non sono certamente in contrasto con questi, ma che sono a complemento.

Che cosa ci dicono il rapporto dell'IPBES e tutti gli altri lavori: ci dicono che questa è la problematica numero uno del futuro del mondo e che qundi dovrebbe essere al primo posto delle agende politiche a livello internazionale perchè se non si cambia rotta è evidente che si finisce contro un muro.

La bellezza di rapporti con questo dell'IPBES è che dice siamo ancora in tempo: vicino alla crudezza del dato globale che viene presentato dai rapporti su clima, dai rapporti sulla biodiversità e in genere su queste tematiche c'è poi sempre la speranza perché oggi abbiamo degli strumenti che possiamo mettere in campo dal punto di vista tecnologico, politico ed economico che sono molto più raffinati di quanto fossero 40 o 50 anni.

Si è andati veramente molto molto avanti e allora il problema è la volontà di farlo, questo è il nocciolo del problema.

È finita un'epoca che è quella della crescita materiale, quantitativa e consumistica, bisogna cambiare strada perché questa è fallimentare, è una strada che ci porta contro il muro.

La politica deve intervenire in questa dimensione per fare in modo che tutto questo diventi realtà, è la speranza che abbiamo e per cui ci stiamo muovendo con tutte le azioni che facciamo non solo dal punto di vista di adocacy, poltiche, ma anche con le azioni concrete sul territorio, per fare in modo che questo diventi l'elemento di trasformazione di una società capace del proprio futuro. 

Intervista a Gianfranco Bologna del 14 maggio 2019

Il direttore scientifico del WWF Italia Gianfranco Bologna commenta su Ecosistema i risultati del rapporto IPBES "Global Assessment Report on Biodiversity and Ecosystem Services" secondo cui un milione di specie animale e vegetali sono a rischio estinzione

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