Più della metà delle centrali in Europa sono in perdita. Chiuderle entro il 2030 permetterebbe per l'appunto di risparmiare 22 miliardi di euro
Nei paesi appartenenti all’Unione Europea risiedono 619 centrali a carbone e più della metà di queste è in perdita. Lo dimostra un nuovo rapporto redatto dagli analisti di Carbon Tracker, che stima per le centrali a carbone un negativo di circa 22 miliardi di euro entro il 2030, nel caso l’UE mantenesse i termini previsti nel contrasto ai cambiamenti climatici. Secondo lo studio, infatti, a subire perdite saranno il 97% degli impianti, a causa di regolamentazioni più severe nell’ambito dell’inquinamento e dell’incremento dei prezzi del carbone; inoltre, i costi delle energie rinnovabili diminuendo sempre di più, tanto renderanno più economico costruire nuovi impianti solari e eolici piuttosto che gestire una centrale. Il carbone in Europa, avverte Carbon Tracker, è ormai giunto in una “spirale della morte”, con sette nazioni dell’Unione che hanno già annunciato lo stop entro il 2030 (compresa l’Italia). Peraltro durante la COP23 a Novembre è stata lanciata “The Global Alliance to Power Past Coal”, sottoscritta da 19 paesi di tutto il mondo.
Nel rapporto di Carbon Tracker il trend negativo delle centrali a carbone è testimoniato attraverso uno studio dei guadagni negli ultimi anni: dal 2000 al 2010 i profitti degli impianti surclassavano l’indice europeo Stoxx 600 (indice azionario composto da 600 delle principali capitalizzazioni di mercato europee) del 60%, dopodiché hanno perso il 20% delle entrate una volta che le politiche governative sono cambiate e hanno cominciato ad incentivare le energie rinnovabili. Carbon Tracker ha analizzato i ricavi e i costi operativi delle centrali in Europa e ha notato come già il 54% di esse sia in perdita. Il dato significativo è che esclusivamente un quarto delle centrali ha nei propri piani aziendali la chiusura entro il 2030, nonostante gli Accordi di Parigi prevedano l’eliminazione progressiva e l’allontanamento dall’utilizzo di energia a carbone. La chiusura di tutti gli impianti entro il 2030 eviterebbe perdite per 22 miliardi di euro per i proprietari degli impianti, stakeholder e governi; la Germania, ad esempio, è il paese con il numero maggiore di centrali non redditizie e le perdite evitate con una chiusura anticipata ammonterebbero a 12 miliardi. Altro segnale di disaffezione dal carbone è un dato della IEA (International Energy Agency) che nel 2013 pronosticava un aumento dell’utilizzo di carbone mondiale del 40%; oggi, invece, la crescita è stimata all’1%. “L’apertura del mercato alle energie rinnovabili, così come le politiche di contrasto al cambiamento e l’aumento dei prezzi del carbone, hanno posto quest’ultimo in una spirale della morte”, ha affermato Matt Gray, co-autore del rapporto di Carbon Tracker. Gray ha sottolineato la possibilità concreta che le energie rinnovabili essendo più economiche sostituiscano il carbone, definendola “una scoperta sorprendente, inimmaginabile 5 anni fa. I consumatori meritano opzioni di costo inferiori”.