Una chiacchierata con Anselmo Calò sul settore del riciclo in Italia
Anselmo Calò, presidente di FISE UNIRE – Unione Italiana Imprese Recupero, ha risposto alle domande di Earth Day Italia intervenendo su A Conti Fatti, rubrica trasmessa dalle frequenze di Radio Vaticana Italia.
Dottor Calò, nonostante la crescita del settore del riciclo, c’è ancora molto da fare e tanti sono gli ostacoli che bisogna affrontare. Quali sono le carenze che affliggono questo settore?
La raccolta differenziata non è uguale su tutto il territorio nazionale: dati positivi si riscontrano al nord; negativi al sud; alcune zone del centro Italia hanno buoni risultati, come le Marche, altre meno, come Roma, Napoli e Palermo. Risultati questi che abbassano notevolmente la media delle loro regioni. Ad esempio, la Campania ha buonissimi risultati, ma la media si abbassa notevolmente se si prende in considerazione il comune di Napoli. L’obiettivo fondamentale è migliorare soprattutto nelle grandi città.
Nella presentazione del rapporto “l’Italia del riciclo” si è chiesto con forza un intervento della classe politica soprattutto riguardo normative più snelle e più chiare. Il quadro normativo attuale ha favorito da un certo punto di vista anche l’ingresso del malaffare nella gestione dei rifiuti?
Le norme dovrebbero essere più semplici, che non vuol dire meno rigorose, ma più semplici di lettura, meno interpretabili. Il codice dei rifiuti del 2006 prevedeva una grande quantità di decreti che dovevano essere emanati in concerto con altri ministeri. Molti di questi decreti non sono stati più emanati, creando dei vuoti nella normativa. C'è, inoltre, un problema di gestione delle autorizzazioni nelle singole regioni: non essendoci delle linee guida su come le autorizzazioni devono essere rilasciate, ogni provincia è libera di agire come meglio crede. Può ad esempio succedere che un operatore di una determinata provincia ha un'autorizzazione poco rigorosa, ma se va a lavorare nelle provincie limitrofe di un'altra regione può trovare un maggior rigore nell'autorizzazione e una maggiore difficoltà nello svolgimento del suo lavoro. Si auspica quindi che le autorizzazioni diventino omogenee.
Ma le istituzioni si stanno muovendo in questo senso?
Al momento non si sta facendo niente. Il codice dei rifiuti risale al 2006 e i tempi di emanazione dei decreti dovevano essere tra i 12/18 mesi. Dal 2008 chiediamo l’emanazione di questi decreti. Questo ha comportato che di fronte all'emergenza le norme di dettaglio, piuttosto che uscire con decreti ministeriali, che sono più facilmente modificabili in caso di bisogno, si è usciti con interventi di tipo parlamentare sulla legge stessa. Per cui il codice dell'ambiente, nella parte che riguarda i rifiuti, è pieno di aggiunte, norme cambiate e crea confusione e disagio alle aziende ma anche qualche pericolo.
Quindi, la situazione di gestione delle emergenze di cui spesso si sente parlare soprattutto a Roma e a Napoli, di fatto ha creato delle norme estemporanee che vanno a complicare i progetti legislativi più ragionati…
Non solo le emergenze grandi, come quelle di città come Roma e Napoli, ma anche emergenze piccole. Le lobby stesse possono ottenere piccole norme che mettono in difficoltà gli operatori. Ultimamente è stata emanata una norma all'interno della legge sulla competitività, dove si generalizza la definizione di rifiuto pericoloso affermando, come misura precauzionale, che tutto è pericoloso. Tutto questo comporta degli aggravi di costi. Sono cose molto piccole, che poi però hanno effetti molto grandi.
Le imprese che in Italia svolgono un’attività di recupero dei rifiuti sono in totale oltre 9.000, principalmente micro imprese con meno di dieci addetti. Questo è uno ostacolo allo sviluppo del settore o una potenzialità?
Questa caratteristica riflette il tessuto economico del nostro Paese ma anche la sua frammentazione da un punto di vista geografico. Per le caratteriste territoriali del nostro Paese, le imprese tendono ad adattarsi ai loro territori. Di conseguenza non c'è bisogno di grandi imprese. Io credo che avere piccole imprese è una ricchezza non un limite. Naturalmente ci sono aspetti che vanno affrontati con imprese più grandi o con associazioni d'imprese. Però la valenza territoriale del lavoro delle imprese, secondo il mio punto di vista, è un aspetto positivo.