Pasquini (CSI Roma): lo sport degli oratori e delle parrocchie come antidoto alla vittoria a tutti i costi

La visione educativa del Centro Sportivo Italiano, richiama ai valori inclusivi e comunitari dello sport, contro le distorsioni del professionismo e l’agonismo esasperato. Intervista a Daniele Pasquini, presidente del Comitato Provinciale CSI di Roma.

Presidente Pasquini, come è nato il Centro Sportivo Italiano? Da quali istanze ed esigenze, e con quali scopi?

La storia del Centro Sportivo Italiano affonda le sue radici nel Movimento Sportivo Cattolico. Già nel 1906 la Chiesa volle fondare la Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane che poi, nel 1927 durante il periodo fascista, si autosciolse per non sottostare al regime. Nel 1943 papa Pio XII chiamò l'allora presidente dei Giovani di Azione Cattolica, Luigi Gedda, chiedendogli di ricostruire il tessuto associativo-sportivo che era andato disperso durante il periodo fascista, e nel 1944 nacque il Centro Sportivo Italiano. Potrebbe sembrare un'anomalia che il Papa, in un momento in cui l'Italia era divisa dalla Seconda Guerra Mondiale non ancora finita, si preoccupasse di creare un'associazione sportiva nazionale. In realtà fu grande lungimiranza poiché, oltre al bisogno di ricostruire fisicamente le strade, i ponti e le case distrutti dalla guerra, il Papa si preoccupò di ricreare il tessuto sociale; e vedeva nello sport l'occasione per ricostruire la comunità delle persone, ripartendo dagli oratori e dalle parrocchie. La nascita del CSI è, in qualche modo, una rinascita in continuità con il movimento della Federazione Sportiva Cattolica.

La missione dichiarata del CSI è “educare attraverso lo sport”. Quali sono i valori di cui lo sport in generale, e italiano in particolare, ha più necessità?

Molto spesso si tende a dare per scontato che lo sport sia un'attività educativa di per sé. In realtà lo sport è in grado di avviare dei processi educativi; ma questi processi, per diventare una vera esperienza educativa, hanno poi bisogno di essere accompagnati e orientati da un’intenzionalità e da una progettualità educative forti. Quali sono dunque i punti di forza e le potenzialità educative dello sport? Lo sport è un “bene educativo”, ha dentro di sé delle potenzialità enormi, perché di fatto è una palestra di virtù. Da un lato insegna la libertà e la creatività, sebbene all'interno di un panorama di regole anche molto ferree, dall'altro si basa sul divertimento e sul gioco, pur contemplando anche la fatica e il sacrificio. Coniuga la festa con l'allenamento quotidiano. Quindi lo sport riesce a tenere insieme aspetti giocosi e di formazione del carattere della persona. Se è ben guidato, orientato e condotto dagli educatori, può diventare veramente un'esperienza di vita.

Nell'ultimo decennio anche le associazioni aderenti al Coni e ad altre realtà sportive propagandano valori e comportamenti etici fra gli sportivi; ad esempio e soprattutto nelle scuole calcio e con i bambini. Ci sono differenze tra gli insegnamenti dello sport “istituzionale” e quelli invece del CSI? C'è una peculiarità nel  modo in cui il CSI affronta la pratica sportiva?

Lo sport “istituzionale” ha capito che il valore educativo e sociale dell’attività sportiva non può essere lasciato in secondo piano. Resta però, secondo me, il rischio di un’illusione: cioè pensare che lo sport basti a se stesso. È costruito come un “sistema sportivo” che in qualche modo è autoreferenziale e autosufficiente: ha un proprio sistema valoriale; dei valori intrinseci alla pratica sportiva; una propria legislazione; propri tribunali ed organi decisionali. È come se fosse un sistema che sta in piedi da solo; per lo meno ha questa tendenza e a volte anche questa presunzione. Il problema è che lo sport non è impermeabile: si imbeve come una spugna del contesto culturale, sociale ed economico in cui viene immerso. Il rischio è che le finalità estranee a quelle prettamente sportive, commerciali, di business, piuttosto che la spettacolarizzazione e la tendenza a raggiungere la vittoria a tutti i costi, finiscano per far deviare dagli obiettivi educativi che una pratica sportiva si deve porre. È difficile conciliare la vittoria a tutti i costi con un'esperienza educativa. È difficile conciliare una pratica sportiva inclusiva per tutti con la selezione dei più bravi. Qual è la differenza tra la visione dello sport del CSI e quella di altre federazioni ed organizzazioni sportive? La differenza è mettere al centro la persona, il ragazzo, l'uomo; avere come fine l'educazione e non altro; avere una progettualità educativa che lasci in secondo piano l'esperienza prettamente agonistica, per cercare invece di far emergere di più l'esperienza di crescita e di formazione.

Quali sono le discipline sportive in cui il CSI è più attivo a livello nazionale?

Il re degli sport, anche nel CSI, è il calcio; nelle sue varie forme: calcio a cinque, a sette e a undici. Poi abbiamo gli sport più popolari, come la pallavolo, il basket, il nuoto, il ciclismo e le arti marziali. Il CSI abbraccia le discipline più tradizionali e popolari del nostro paese.

Ovviamente il CSI agisce nell'ambito del dilettantismo.  Le cronache di questi ultimi tempi ci riferiscono purtroppo di tradimenti della lealtà sportiva anche tra i dilettanti, con casi di doping soprattutto nel ciclismo: uno sport martoriato da questa piaga. Casi che coinvolgono non più soltanto i professionisti, che hanno un tornaconto economico, ma anche i dilettanti che in teoria non lo hanno. Dal vostro osservatorio come vedete questo fenomeno? Quali ragioni ci sono alla base? Ne avete sentore, anche nelle vostre attività?

Nelle nostre attività, ad oggi non abbiamo mai avuto modo di rilevare problemi di doping; tranne un caso di doping “meccanico”, nell’ambito di una gara di ciclismo di un comitato provinciale. Del doping “medico” non abbiamo riscontro. Questo non significa che non ci sia. Non ne abbiamo riscontro perché nello sport dilettantistico non vengono effettuati monitoraggi e controlli, come invece vengono effettuati nello sport professionistico. Quindi non mi sento di dire che le nostre attività siano pure e linde in sé; perché quello del doping nel mondo dilettantistico è un problema che nasce da una distorsione culturale della visione dello sport. In questa distorsione, caratteristica del contesto culturale in cui viviamo per cui bisogna essere perfetti, non si può sbagliare: bisogna essere sempre i primi e non arrivare secondi. Questa mentalità, che sta pervadendo tutta la società, chiaramente va ad inquinare anche il mondo dello sport dilettantistico. Il lavoro di lotta e prevenzione al doping che facciamo, è un approccio culturale finalizzato a mettere al centro l'esperienza del gioco, del divertimento, della sana competizione; senza quell’ansia da prestazione che ci viene infusa non tanto dallo sport, quanto da un contesto sociale che ci vuole sempre perfetti e vincenti.

Lei è Presidente del CSI della Provincia di Roma; quali sono gli sport e le realtà associative più vive in questo territorio?

La realtà romana del Centro Sportivo Italiano è consolidata e anche molto capillare. Ci sono quasi 500 gruppi sportivi, tra società sportive e oratori affiliati al CSI di Roma, che fanno un'attività continuativa per tutto l'anno. Le discipline più gettonate sono i classici sport di squadra: il calcio, la pallavolo, il basket, le arti marziali; ma anche il ciclismo e alcune discipline emergenti, particolarmente amate negli ultimi anni: ad esempio la danza, che sta pian piano raggiungendo i numeri della pallavolo tra le attività sportive giovanili femminili. Il nuoto sta crescendo molto e, tra gli adulti, le attività legate al fitness, un fenomeno in costante crescita ormai da 15 anni.

Un fiore all'occhiello del CSI sono i campionati parrocchiali, che tra l'altro ravvivano una tradizione sportiva degli oratori che ha fatto la storia di molta parte dello sport italiano. Ci può dare un'idea di questa realtà, poco conosciuta però molto diffusa? Quali sport coinvolge? e come si svolgono questi campionati?

Anche in questo ambito, l'attività primaria che si svolge in parrocchia è il calcio a cinque, che si svolge nei campetti all'ombra del campanile. Quasi tutte le parrocchie hanno infatti un campetto o uno spazio dedicato a questo. Abbiamo quindi pensato di costruire non un vero e proprio campionato, ma un'attività annuale pensata su misura per gli oratori e le parrocchie. Un progetto non solo sportivo ma anche educativo e culturale, che coinvolge in primis gli allenatori ma anche le famiglie; un'attività che cerca di coinvolgere tutta la comunità parrocchiale intorno a questo spazio sportivo che, purtroppo, in molte parrocchie era stato abbandonato a sé stesso, ma che noi stiamo cercando pian piano di recuperare come luogo educativo.

Sono campionati senza classifica? Semplicemente momenti d'incontro, oppure c'è anche una competizione, per quanto sana?

Ci sono due classifiche che si uniscono insieme. Una classifica sportiva “classica”, che conta cioè le vittorie e le sconfitte come in qualsiasi campionato; e poi c'è la classifica “disciplina”. Si tratta di punti dati o tolti in base al comportamento tanto dei ragazzi in campo, che conta quindi ammonizioni, espulsioni, ritardi, mancanze dal punto di vista comportamentale, quanto degli allenatori e dei dirigenti, che riguarda comportamenti non corretti in ambito burocratico come, ad esempio, documentazioni mancanti oppure ritardi della squadra nel presentarsi alle partite. Questa classifica “disciplina” si somma alla classifica sportiva. È uno stratagemma educativo che abbiamo adottato per accompagnare le parrocchie e gli oratori nella crescita della qualità della proposta dal punto di vista educativo.

Sappiamo che ci sono dei progetti del CSI mirati a ritagliare più spazio per lo sport anche nei programmi dell'istruzione superiore, come succedeva decenni fa e come avviene molto di più in altri paesi. Cosa ci può dire al riguardo?

Per quanto riguarda il mondo universitario, da un anno abbiamo creato Unisport Roma, una rete di otto atenei romani volta a promuovere un'attività sportiva a misura di università. L’obiettivo è includere il più possibile gli studenti, farli partecipare alle attività sportive che l'università propongono. Parlando con gli atenei ci siamo resi conto che soffrivano la mancanza di un'attività coordinata, in grado di far praticare ai propri studenti dello sport a livello dilettantistico. Troppe volte l'attività sportiva nelle università diventa un'attività di nicchia per studenti che sono già sportivi di alto livello; mancava una proposta che fosse adatta per tutti.

Questa rete coinvolge solo le università?

Sulla base di questo modello, che ha avuto successo, stiamo cercando di riproporre la stessa rete anche ai licei ad indirizzo sportivo di Roma, e stiamo riscontrando interesse anche da parte di altri istituti, non prettamente legati allo sport, interessati a questo tipo di progettualità.

Lei è candidato alle elezioni regionali del Lazio in una lista civica che appoggia l’attuale Presidente. Quali sono le istanze che vuole portare al Consiglio Regionale?

Ho scelto di candidarmi in questa lista civica, che si chiama Centro Solidale e appoggia Zingaretti. È una lista composta da persone che, come me, vengono dal sociale, dal mondo associativo, dalla società civile in genere: non ci sono politici. La scelta di impegnarsi attivamente anche nell'ambito politico è avvenuta in maniera abbastanza naturale; perché l'impegno che mettiamo costantemente nel CSI e nello sport in generale è già un impegno sociale, “contiguo” alla politica. Ci era stato chiesto di offrire dei punti di riferimento al mondo dello sport attraverso persone che venissero da questo stesso mondo e che potessero impegnarsi anche in ambito politico. La scommessa è trasferire le competenze, la passione, la visione di uno sport di carattere educativo, sociale ed inclusivo anche nei programmi sportivi e nelle istituzioni politiche della Regione Lazio.
La scommessa è fare anche un cambio di visione culturale. Molto spesso, quando si parla di politica e di sport si pensa alle “politiche per lo sport”, cioè a fare bandi e stanziare contributi per finanziare le attività delle associazioni sportive. Credo che, oltre a questo aspetto, sicuramente fondamentale per aiutare il mondo dello sport, ci sia anche l’esigenza di pensare alle politiche “attraverso lo sport”. Lo sport sta diventando sempre più un pilastro fondamentale della società contemporanea: ha a che fare con le politiche sanitarie, con quelle sociali, con il turismo, con l'istruzione e con l'educazione. Perciò lo sport non va visto e relegato soltanto nei recinti dei suoi campi da gioco, ma può diventare uno strumento a 360 gradi per le politiche della Regione.

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