La TAV? Preoccupazione per le vene amiantifere. Gli studenti del climate strike? “Li apprezzo e li incontrerò”. Il PNIEC è una “bozza di piano realistico” e migliorabile. Intervista esclusiva di “Ecosistema” al Ministro dell'Ambiente.
Il 15 marzo studenti di tutto il mondo hanno manifestato per il Global Climate Strike, lo sciopero di sensibilizzazione sui cambiamenti climatici. Questi ragazzi sono una forza positiva per la società o, come qualcuno ha detto, è solo una scusa per non andare a scuola? I problemi dell'ambiente trovano abbastanza spazio nel dibatto pubblico e in politica? Le divisioni del governo sulla TAV sono solo di natura economica o anche ambientale? L'Italia si sta impegnando seriamente per rispettare gli accordi internazionali sulla tutela del pianeta? Per riflettere su questi, che ci sembrano i temi più attuali per chi si occupa di ecologia, abbiamo interpellato il Ministro dell'Ambiente, Sergio Costa, intervistato per “Ecosistema” il programma settimanale di EarthDay.it trasmesso da Radio Vaticana Italia.
Signor Ministro, per cominciare le chiedo una sua valutazione su questo movimento giovanile del “Climate Strike”. Sappiamo che è stato criticato, da chi dice che sono ragazzi che non vogliono andare a scuola. Ma anche la stampa non è stata tutta completamente dalla loro parte. C'è anche chi mette in dubbio il movimento e la sostenibilità di ciò che loro prospettano. Lei come vede questi ragazzi in piazza?
Intanto io parlo di “manifestazione”. Cioè: non mi piace l'idea di farlo passare come uno sciopero, quanto invece come una manifestazione. Questi ragazzi sono scesi in piazza in tutto il mondo. L'Italia è la seconda nazione in Europa per numero di ragazzi radunati. Vuol dire che c'è un forte sentimento giovanile, in Europa e in Italia in particolare. Sono scesi [in piazza] senza bandiere, senza appartenenze, e per scuotere un po' i dormienti; in buona sostanza per dire: non pensiamo solo, egoisticamente, alla nostra generazione di giovani, ma alle future generazioni di giovani; quando voi invece, di un'età anagrafica diversa, avete avuto modo e tempo di intervenire per salvarci dai cambiamenti climatici e non l'avete fatto. Quindi lo colgo come un grido di dolore. Ecco perché cambio il termine da “sciopero” a “manifestazione”. Questo è un grido di dolore di giovani: di una fascia adolescenziale ma anche universitaria: cioè giovani pluri-generazionali. Il dodicenne, il tredicenne e il quattordicenne, con il venticinquenne e il ventiseienne: possiamo dire che sono fasce generazionali ormai diverse tra loro. Questo, secondo me, è molto significativo. Ci portano, chiaramente, il loro contributo da studenti; poi sta a noi del mondo politico, e mi permetta di dire anche del mondo dell'establishment gestionale, non politico, della burocrazia, di declinarlo. L'importante è che ci sia stata questa scossa. Quindi io vedo molto bene [il movimento]. L'ho detto pubblicamente: li apprezzo. Mi piacerebbe che non si fermassero. I miei figli sono più grandi altrimenti li avrei spinti a scendere in piazza, lo ripeto, lo ribadisco, perché appunto è una manifestazione. Auspico soltanto, e chiedo loro, che non si facciano strumentalizzare: che stiano attenti a questo. La strumentalizzazione è il gioco nel quale possono cadere nella loro ingenuità, senza rendersene conto. Posso assicurare che, da Ministro dell'Ambiente, li incontrerei molto volentieri, ma certamente non li strumentalizzerei. Questo lo posso garantire come persona, al di là del “ministro”, perché sarebbe un autogol per il paese.
Oggi inauguriamo con lei, e per questo la ringraziamo, “Ecosistema”, la nuova trasmissione di Earth Day Italia su Radio Vaticana. Molto spesso si lamenta il fatto che le tematiche dell'ambiente abbiano poco spazio sui mezzi di informazione, se non in seguito a grandi catastrofi naturali. Poco si parla invece di programmazione, di sostenibilità, di futuro. Lei da Ministro dell'Ambiente si sente di sottoscrivere questa affermazione o nota più attenzione rispetto al passato?
Io rammento che, trent'anni fa per esempio, di ambiente si parlava a livello salottiero. Via via il sentimento è cresciuto: sia a livello italiano ed europeo, sia globale. Devo dire che, da quando sono ministro, noto che c'è sempre più spazio sui giornali. Auspico che il dibattito pubblico sia ancora più ampio: un dibattito che sia tecnico e culturale, quindi: sia in termini di visione, sia in termini di dati. Qualcosa è cambiato: negli ultimi mesi si parla molto di ambiente, nelle varie sfaccettature. È anche vero che, a parlare di ambiente, talvolta si trovano il negazionista o l'allarmista per eccellenza; ma fa parte del dibattito e va accettato anche per questo. Ma c'è un elemento che colgo. Normalmente i dibattiti sono abbastanza effervescenti quando si vivono le fasi di maggiore fragilità di un sistema: le cosiddette fasi di transizione. Noi siamo in una fase di transizione per cambiare un certo tipo di paradigma produttivo, abituato all'economia lineare, all'inquinamento da emissioni in atmosfera, all'inquinamento delle acque; [cose] che prima nemmeno guardavamo. Ricordo che quando ero ragazzo di queste cose non si parlava; oggi fanno parte del dibattito. Ma è un momento fragile; perché passare dalle vecchie certezze, non più adeguate alla sostenibilità ambientale, a quelle che devono diventare nuove certezze eco-compatibili, significa tutto sommato stressare il sistema. Per questo dico che adesso siamo nell'effervescenza dibattimentale: adesso deve crescere “dentro” una diversa cultura dell'ambiente. La cultura dell'ambiente passa attraverso le famiglie. Pian piano ci si sta arrivando, però stiamo ancora attraversando il guado.
In questi giorni il Ministero sta lanciando la consultazione pubblica sul Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Non è stato accolto benissimo dalle associazioni e dagli stakeholder: è stato visto come un po' “timido”. Soprattutto si lamenta poca strategia sulle infrastrutture della transizione: le grandi infrastrutture per l'elettrificazione o per la transizione alle rinnovabili. Quali sono i suoi commenti? E quanto spazio di manovra c'è ancora per la società civile?
Intanto parto da questo presupposto: il piano non è definitivo. Intendo dire che è “una bozza” di piano, come peraltro dice la legge: la norma europea. Noi abbiamo presentato la bozza di PNIEC il 30 dicembre 2018: l'abbiamo depositata presso la Commissione Europea a Bruxelles. Nell'arco del 2019 (quindi è già partito) si apre tutto il dibattito previsto dalla legge, sia in termini di valutazione ambientale strategica, che dura appunto tutto l'anno solare 2019, sia in termini di coinvolgimento con gli stakeholders. “Tutti” gli stakeholder: i cosiddetti cointeressati. Poi sarà adottato in via definitiva a decorrere dal primo gennaio del 2020. Questo recita la norma.
Che cosa si intuisce? Avendo avuto la sua genesi a metà del 2018 e [prevedendo] un'elaborazione per tutto il 2019, vuol dire che è un piano corposo, robusto, consistente, approfondito; ed ha bisogno dell'elaborazione non solo del Ministro, o dei ministri perché più di uno sono competenti (penso al MISE), ma invece, giustamente, si incontra con la valutazione ambientale strategica e con gli stakeholders. Ciò vuol dire che questa è veramente una bozza. Detto ciò, è però chiaro che non l'ho buttata al centro del tavolo per dire: “dovevo scrivere qualcosa e l'ho scritta”. No! Il senso è che noi analizziamo lo stato del paese, nel momento in cui il PNIEC prende piede. Ovvero: lo stato del nostro paese va verso un piano clima-energia che ci faccia fare una vera transizione? Da che punto partiamo? Altrimenti dovrei raccontare la favola che noi siamo particolarmente avanti. Penso alla SEN (Strategia Energetica Nazionale, varata dal governo precedente a fine 2017, nda.) della precedente legislatura, dove sembrava un po' di camminare [con] Alice nel paese delle meraviglie. Se invece dobbiamo fare un piano realistico... Ci dobbiamo rendere conto che questo piano, almeno come bozza, non è timido: è realistico. Che è un'altra cosa: cioè noi siamo in grado di dire che quanto è scritto in questa bozza lo realizziamo. Ce ne assumiamo la responsabilità politica, oltre che tecnica, non solo rispetto al popolo italiano ma rispetto all'Unione Europea, ovviamente (quindi è una responsabilità ancora più evidente). È realistico: cioè è ragionevolmente applicabile. Però siamo assolutamente aperti agli stakeholder, che ci possono dire: si può fare di meglio e di più, in questi termini. Quello che chiediamo, però, è che non ci si dica: “dovevate fare di più” senza dire come. Noi chiediamo (questo è un po' il mio stile, forse un po' più tecnico): diteci che si può fare di più, ma diteci anche come lo vedete. Altrimenti siamo tutti buoni a dire che si può fare di più. Ogni volta si può fare di più, ma occorre anche spiegare come. Ecco l'incontro con lo stakeholder, che deve avere un senso di approfondimento tecnico, realistico, applicativo; altrimenti diventa la sagra delle pie intenzioni, e io non sono quel tipo di ministro. Quindi: ciò che si può fare si fa. Tra l'altro teniamo conto che noi centriamo e superiamo praticamente tutti gli obiettivi al 2030 previsti dall'Unione Europea. Tutti tranne uno: le energie rinnovabili. Noi stimiamo il 30% di change (la quota di energia da fonti rinnovabili, nda.) rispetto al 32% che è l'obiettivo dell'Unione Europea. Gli altri [obiettivi] li superiamo, in taluni casi in modo anche molto consistente. Pensi all'efficienza energetica: l'obiettivo dell'Unione Europea è il 32,5% e noi siamo, indicativamente ovviamente, al 43%. Cioè dieci punti in più. Non è poco. [A proposito di] quel 30%, noi avremmo potuto scrivere "32" come obiettivo per le FER (Fonti di Energia Rinnovabili, nda.), così come l'Unione Europea ci chiedeva. Abbiamo scritto "30" perché siamo convinti che il 30% lo centreremo sicuramente. Poi, magari, arriveremo anche al 32 e al 33%; ma il 30% lo assicuriamo. Se però qualcuno dimostra (che è diverso da “dice”) che possiamo arrivare a più del 30% ben venga: non posso che esserne felice. L'importante è che quello che emergerà sia un piano vincolante. Cioè che tutti i soggetti concorrenti alla sua realizzazione siano poi vincolati da questo piano. Ecco la vera transizione a cui facevo riferimento. La transizione vuol dire, finalmente, che tutti gli stakeholders, si assumono la responsabilità di arrivare agli obiettivi proposti, e che verranno definiti alla fine del 2019.
Nel dibattito interno al Governo, sulla questione della TAV, ultimamente si parla quasi esclusivamente dei benefici e dei costi “economici” dell'impresa. All'inizio si parlava anche di quelli “ambientali”. C'è ancora questo dibattito, all'interno del Governo?
Io sicuramente ho rappresentato al Governo la mia preoccupazione. Ad esempio per un lavoro previsto nella TAV, in ordine a degli scavi che attraversano una parte di territorio con una linea amiantifera particolarmente vigorosa. Attenzione! È una preoccupazione: quando toccate delle linee amiantifere c'è il rischio che la popolazione possa avere un ritorno molto serio sulla salute. Quindi sono le preoccupazioni da Ministro dell'Ambiente che io ho segnalato, per ricondurre la valutazione, non solo ad un aspetto di costi-benefici economici, come è giusto che facciano i ministeri preposti a questo; ma che ci sia anche una valutazione di natura ambientale. Da questo punto di vista la TAV, secondo me, deve avere anche questo tipo di valutazione. Aggiungo che ho anche chiesto di valutare quanti altri benefici potremmo avere con quelle stesse risorse spese per la tav, che quindi hanno un'analisi di costi e benefici anche “ambientali”: penso alle merci che viaggiano su binario e non più su gomma. Per esempio una cosa che a me sta a cuore: aiutare i pendolari a non prendere più l'auto o l'autobus (che viaggiano con emissioni [di CO2] in atmosfera) ma il treno. Questo tipo di lavoro secondo me va considerato anche come un'alternativa. Questa è un'alternativa ambientalmente sostenibile: abbiamo molte tratte del pendolarismo quotidiano che movimenta automobili o autobus, con significative emissioni in atmosfera. Potrebbe avere un senso che quelle risorse, spese per la TAV, vadano invece a decongestionare il traffico sulle nostre strade, con un minor uso di vetture e di autobus e quindi meno emissioni in atmosfera.
Per concludere le chiedo un bilancio personale dei suoi primi mesi da Ministro dell'Ambiente. Che cosa sente di aver fatto di positivo, e cosa sente di dover ancora fare nei mesi e negli anni a venire?
Da otto mesi sono ministro: non sono pochi. Posso sintetizzare ciò che si è fatto. Ad esempio una bella cosa secondo me, è la Legge di Stabilità la quale prevede, per la prima volta nella storia della Repubblica, che gli imballaggi diminuiscano; e che per gli imballaggi noi favoriamo con un credito d'imposta le aziende (notare: “le aziende”) a produrre green, attraverso, ad esempio, l'utilizzo [di materiali] biodegradabili e compostabili. Cose che prima non erano nemmeno immaginabili; e se non erano immaginabili non erano state mai sovvenzionate. Parliamo di credito d'imposta in ragione del 36% a favore di queste aziende. È una bella cosa aver raddoppiato la pianta organica dei dipendenti del Ministero dell'Ambiente. Non era mai stato fatto nella storia del Ministero: incominciamo ad assumere ingegneri ambientali, geologi, fisici, chimici, e via via tutte le materie scientifiche. Perché? Perché siano di staff a tutto il resto delle realtà territoriali che vogliono cambiare sistema. È stato molto bello che l'economia circolare, una competenza di cui si è sempre parlato, non aveva mai trovato casa finché noi non abbiamo chiesto che venisse inserita in un ministero. Se non trova casa non la puoi nemmeno sviluppare. Bene: dal 9 agosto, con il riordino ministeriale, è diventata patrimonio, e quindi competenza, del Ministro dell'Ambiente: sta a casa nostra. Poteva andare al MEF (Ministero dell'Economia e delle Finanze, nda.), poteva andare al MISE (Ministero dello Sviluppo economico, nda.), invece è andata al Ministero dell'Ambiente. Vuol dire che questo Governo valuta seriamente il rapporto ambiente-produzione.
Che cosa devo fare adesso? Nel mese di aprile depositerò il disegno di legge, “velocizzato” come si suol dire, sul dissesto idrogeologico: dimezziamo tutti i tempi di intervento preventivo rispetto al problema del dissesto, per non andare in emergenza. Finora non si è speso quasi niente in Italia, eppure i miliardi li abbiamo. Non parlo di milioni ma di miliardi: undici miliardi di euro. Li abbiamo messi tutti insieme e abbiamo sburocratizzato il sistema: la prima settimana di aprile [il disegno di legge] dovrebbe approdare in Parlamento. La legge “salva mare”: le plastiche dal mare. È stato il mio primo lancio pubblico. Anche la legge salva mare (per diminuire la produzione di plastiche monouso, nda.) approderà [in Parlamento] ad aprile. La legge “terra mia” sulla velocizzazione di tutte le bonifiche dei siti di interesse nazionale. Abbiamo costruito la definizione giuridica (che non c'era) dei siti orfani: cioè quei siti che continuano a inquinare da trenta o quarant'anni, di cui ormai si è persa la responsabilità amministrativa e produttiva. Il famoso principio europeo “chi inquina paga” non si riesce ad applicare. Bene, abbiamo costruito per legge il sistema che invece guarda alla soluzione di quel problema. Abbiamo avviato tutta la procedura dell'end of waste, cioè del passaggio dai rifiuti alla materia prima-seconda, attivando l'economia circolare. Le faccio un esempio: ho firmato il decreto dei pannolini. Si potrebbe sorridere, ma i pannolini rappresentano 950 mila tonnellate annue che noi gettiamo. E invece, grazie al decreto che ho firmato, e a una tecnologia tutta italiana che stanno prendendo in tutto il mondo, andremo a ottenere cellulosa, e quindi non saranno più un rifiuto. Abbiamo già pianificato in ragione di 56 milioni di tonnellate annue di rifiuti che verranno ricondotti nell'economia circolare e diventeranno materie prime-seconde. Cioè: un terzo dei rifiuti speciali che vengono prodotti in Italia diventano, nel giro di un anno, materia prima-seconda per l'economia circolare. Queste sono le vere sfide, secondo me. Cioè una visione ambientale che deve cambiare il paradigma produttivo; però fatta di obiettivi piccoli, concreti, costanti. È il mio modo di ragionare.