18 Novembre 2014
Roberta Cafarotti
TERRITORIO
18 Novembre 2014
Roberta Cafarotti

Dolomiti Contemporanee: l'arte contemporanea come metodo per riattivare il territorio

Il laboratorio d’arte in ambiente che lavora sull’economia del paesaggio e sul rapporto dinamico uomo-natura

Le Dolomiti sono patrimonio dell’umanità. A guardarle si allarga il cuore e si ritempra la mente. Ma sono solo un bene da contemplare oppure un luogo da vivere?

Il paesaggio alpino è spesso vittima di stereotipi e clichè montani, baite immobili nel tempo e prati verdi, cartoline della natura che omettono all’obiettivo ogni opera umana, così che i turisti oltrepassano queste montagne quasi come se attraversassero un “non luogo” senza verità, senza alcuno scambio con l’esterno, senza reale arricchimento culturale.
In questa visione le fabbriche ormai vuote ai piedi delle montagne sono elementi dai quali distogliere gli occhi, la diga del Vajont una ferita aperta e un monumento al dolore, luoghi abbandonati e senza funzioni. Eppure l’identità delle persone nate su queste montagne meravigliose si è formata in questi luoghi, più che sui pascoli verdi di Heidi o sulle imprese dei vari Messner.

E’ da questi luoghi con una forte fisicità, in fase di criticità o di inerzia che DC Dolomiti Contemporanee riparte.

E’ nata nel 2011 dall’esperienza di Gianluca D'Incà Levis, un critico e curatore di arte contemporanea che ha costruito questo speciale laboratorio d’arte che lavora sul paesaggio, sia esso ambientale, umano, sociologico e culturale, un laboratorio che piuttosto che usare la rappresentazione, spinge ad agire.
Per usare le parole di Marc Augè, antropologo di fama internazionale che collabora con Dolomiti Contemporanee, “si tratta di riflettere, e di agire, sull’identità dei paesaggi (ogni cosa è paesaggio, non esistono contenitori e contenuti), anzi, di interagire con esso. Non si tratta di rappresentare, ma di contribuire a fare, a costruire, identità. L’arte non rappresenta, fa.
Insomma l’arte è lo strumento utilizzato per ridare funzione a luoghi senza più funzioni, non è una questione da addetti ai lavori ma una scintilla di ingegno umano che riscrive il paesaggio e attiva la responsabilità di chi vi abita e lo pratica. Insomma tutto parte da un’idea e l’opera né è solo il risultato plastico. DC ha cominciato con due fabbriche abbandonate un grande polo chimico della Montedison, chiuso da 30 anni e una ex fabbrica di occhiali nel cuore delle Dolomiti. Questi siti hanno un'importanza storica e definiscono un rapporto formidabile tra paesaggio e antropizzazione. Poi hanno lavorato alla scuola di Casso, chiusa 50 anni fa, dopo la tragedia del Vajont, e all'ex Villaggio ENI di Borca di Cadore pieno di utopie da ridisegnare.
Questi siti dismessi vengono riattrezzati, si trasformano da luoghi fantasma a nuove fabbriche creative per i mesi estivi e autunnali e divengono centri espositivi. Vengono invitati decine di artisti da tutto il mondo nelle residenze che vi si realizzano. I siti rivivono, lo spazio riprende forma e senso. Quando, dopo alcuni mesi, il programma si conclude, grazie alla visibilità che hanno avuto e alle idee generate in quelle mura, i luoghi dimenticati divengono nuovamente interessanti, anche dal punto di vista commerciale e vengono quindi riaffittati, ricostruiti e ridestinati per attività di altro genere, tornano a imprenditori e lavoratori.

Gianluca D'Incà Levis ci dice che “si tratta di economia del paesaggio”. Infatti il progetto non prevede solo di lavorare con l'arte contemporanea destinando i risultati esclusivamente ad una piccola nicchia di appassionati, ma chi lo anima ha un atteggiamento diametralmente opposto, usa l'arte contemporanea come un metodo per approcciare al territorio in modo innovativo, cercando di dare un’identità a luoghi, siti, contesti, paesaggi, che l’hanno perduta, che si trovano in stato di criticità e d’inerzia.
Si tratta di un progetto culturale molto aggressivo, basta pensare a cosa significa riattivare il Vajont. Dopo 50 anni qualcuno sente ancora la morte nell’aria e in questo clima DC ha aperto il doppio concorso “Two calls for Vajont” che porterà alla realizzazione, di un’opera d’arte contemporanea sulla facciata sud del nuovo spazio di Casso, e di un’opera d’arte permanente sulla diga del Vajont, teatro della tragedia che nel 1963 causò oltre 2.000 morti.
La diga e lo spazio divengono ora, attraverso il concorso, due cantieri proiettivi, attraverso i quali si guarda avanti. Si costruiranno immagini nuove, rifiutando di accettare che l’ identità di quei luoghi debba coincidere per sempre con quella della tragedia.

 
Qualcuno resiste all’idea, qualcuno si lamenta, ma abbiamo tutti bisogno di ricominciare, senza dimenticare, anzi ripartendo proprio da dove la vita si era interrotta. Come fa DC.

 

Per approfondimenti

Il sito di Dolomiti Contemporanee

Il concorso Two Calls for Vajont

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