Un paese con l’88% del proprio territorio esposto a qualche forma di rischio e una capacità di gestione del territorio stesso che lascia qualche dubbio
Il nostro Paese è sempre più colpito da catastrofi d'intensità variabile che puntualmente sollevano dubbi circa la nostra capacità di gestione del territorio e la sicurezza delle nostre città e paese.
Secondo dati ISPRA del 2010, 7.145 comuni italiani (l’88,3% del totale) sono interessati da qualche elemento di pericolosità territoriale; tra questi il 20,3% (1.640 comuni) presentano aree ad elevato (P3) o molto elevato (P4) rischio frana, il 19,9% (1.607 comuni) presentano aree soggette a pericolosità idraulica (P2) mentre il 43,2% (3.893) presentano un mix dei rischi potenziali (P2, P3, P4).
Le difficoltà in merito alla risoluzione del problema sono infinite e molto probabilmente, a meno di una profonda riforma del sistema di gestione territoriale nazionale, lo stato non potrà far fronte all’aleatorietà fisica del territorio.
D'altronde il complesso fenomeno del multiforme rapporto tra le attività umane, collegate alle moderne dinamiche sociali, e le proprietà geologiche del territorio Italiano non può essere analizzato solo alla luce di quella filosofia d'approccio scientifico alla questione che ancora oggi è lontanissima dal risolvere il problema.
Era il 1984 quando lo scienziato David J. Varnes in un rapporto all'UNESCO introduceva il concetto di rischio, anticipando delle nozioni che oggi appaiono in seria difficoltà nel fronteggiare realmente la situazione di rischio territoriale, anche in relazione al cambiamento climatico in corso e alla crisi economica e legislativa italiana.
Il PAI (Piano di Assetto Idrogeologico) rimane un metodo di prevenzione che lascia molti margini alla soggettività di colui che ne stila gli elaborati cartografici, debolezza evidenziata da più parti della categoria professionale dei geologi che criticano il livello di scala su cui questo metodo di prevenzione si basa.
Allo stesso tempo le schizofreniche attività organizzative del nostro sistema d'intervento post catastrofe lasciano secondo gli esperti molti margini e molti dubbi riguardo l'insistente gestione del territorio attraverso una politica prolungata di interventi e di messa in sicurezza che usano troppo spesso la bandiera della progettazione in emergenza.
L'analisi dei fatti avvenuti negli ultimi 10 anni in Italia ha messo in luce la necessità di una riorganizzazione del sistema che passa per un cambiamento di paradigma sulle conoscenze tecnico-scientifiche utilizzate a fini normativi per dirigersi verso la scienza geologica in modo che questa possa realmente proteggere i cittadini dall'evolversi della natura e dai conseguenti normali fenomeni geologici sul territorio.
L’autore
Nicola Borghero è geologo e si occupa in particolare di attività professionali inerenti la prevenzione dalle catastrofi geologiche.