2 Aprile 2019
Gabriele Renzi
TERRITORIO
2 Aprile 2019
Gabriele Renzi

Land grabbing, il nuovo colonialismo che allarga la forbice fra ricchi e poveri.

Massimo Pallottino (Caritas Italiana): “fenomeno esteso che genera impatti devastanti”. L’assenza di strumenti internazionali adeguati e il ruolo dei consumatori

Quello del land grabbing, letteralmente “l’accaparramento delle terre”, è un fenomeno noto già dalla fine del secolo scorso, ma che a partire dai primi anni 2000 si è ancor più diffuso e che riguarda l’acquisizione di grandi appezzamenti di terra da utilizzare prevalentemente a scopo agricolo da parte di agenti stranieri, stati o aziende multinazionali, a scapito dei paesi più poveri.

Un fenomeno purtroppo in crescita che non fa che peggiorare le condizioni economiche e sociali dei paesi in via di sviluppo, minacciando in particolare le piccole comunità che vedono messa a rischio la loro stessa sopravvivenza.

Recentemente la Caritas Italiana ha rilasciato il dossier "Terra bruciata. Il land grabbing forma di colonialismo". Uno dei suoi autori, il responsabile dell’ufficio Asia e Oceania di Caritas Italiana Massimo Pallottino, descrive il fenomeno intervenendo su Ecosistema, il programma di Earth day Italia trasmesso da Radio Vaticana Italia.

 

Il land grabbing è uno dei fenomeni che a livello globale allarga la forbice tra chi ha tanto e chi ha poco. Chi sono i “grabbers”, gli accaparratori di terre, quanto è esteso il fenomeno e quali sono le aree del mondo più colpite?

Si tratta sicuramente di uno dei fenomeni che a livello globale aggravano il problema della disuguaglianza, sia tra i paesi che all'interno dei paesi stessi, mettendo in crisi le economie più deboli e più povere, quelle delle comunità che usano la terra per per sopravvivere.

I grabbers, coloro che si appropriano della terra sono in realtà un ventaglio abbastanza diversificato di attori. Noi siamo abituati, e sono fenomeni che già si conoscevano negli anni ‘70 ‘80 e‘90, a grandi acquisizioni di terre da parte di imprese, spesso transnazionali, che usano questi grandi appezzamenti di terreno per produzioni di tipo diverso. Negli ultimi anni si sono aggiunte altre due categorie di attori molto importanti.

Il primo sono gli stessi stati come quelli del Medio Oriente oppure la stessa Cina che in qualche modo esternalizzano su larghi appezzamenti di terreno in paesi poveri la produzione primaria di generi alimentari.

Poi molto importante è l'impatto dell'azione dei grandi fondi di investimento che usano la terra come elemento di speculazione o di securizzazione dei propri investimenti: la terra viene acquisita e viene lasciata lì, oppure viene data in gestione a qualcun altro, naturalmente senza alcun rispetto per chi usava quella terra come elemento fondamentale per la sopravvivenza.

Le dimensioni del fenomeno non sono facilissime da fotografare perché non esiste un database internazionale certificato delle acquisizioni di terre. Esistono vari vari progetti che cercano di raccogliere tutte le informazioni. Il più noto è il più importante è probabilmente il progetto Land Matrix che raccoglie informazioni da fonti molto diverse, giornalistiche o governative, secondo cui il fenomeno attualmente è dell'ordine dei 48, forse 49 milioni di ettari che, per rendere questa cifra più comprensibile, è più di una volta e mezza la superficie dell'intera Italia.

Si tratta quindi di estensioni di terreno veramente enormi che sono localizzate per la maggior parte nei paesi poveri, in Africa soprattutto, che registra oltre il 50% di questi appezzamenti, ma anche in America del Sud e in America centrale, in Asia, in Oceania e anche in Europa in particolare dell’Est.

Questi dati comprendono soltanto i contratti transnazionali, ma esiste anche un importante fenomeno di land grabbing interno, ossia grosse compagnie che acquisiscono vasti appezzamenti di terreno che appartengono allo stesso paese in cui questa operazione viene fatta. Questi sono ancora più difficili da fotografare, sono sicuramente rilevanti in termini quantitativi, ma esistono delle stime molto frammentarie per cui non siamo in grado di valutarne con precisione la dimensione.

 

Che impatto ha questo fenomeno in termini ambientali e sociali?

Ha un impatto devastante. 

Nella maggior parte dei paesi poveri non esiste il catasto fondiario come lo conosciamo noi in cui ogni parcella di terra è attribuita una persona in proprietà, ma la terra viene gestita dalle comunità secondo secondo principi diversi.

Molto spesso l'operazione preliminare alla cessione di un appezzamento di terreno consiste nel renderlo integrarlo nel catasto moderno il che significa scrivere il nome di un proprietario, che talvolta è lo stato stesso, in una lista che però non fa nessun riferimento a chi veramente vive su questa terra.

Dunque le comunità che hanno vissuto da sempre su certi territori con modalità di produzione varie, allevamento o agricoltura di varia natura, si trovano all'improvviso non più padrone in casa loro. Qualcuno arriva, recinta e da quel momento non possono più accedere alle risorse.

Ancora peggio è quando il land grabbing avviene su risorse ricche da un punto di vista agro-ecologico, come i bassifondi umidi o  le zone dove c'è acqua, che sono vitali per il funzionamento di un sistema più complesso basato ad esempio sull'allevamento estensivo che private di queste zone che sono spesso delle zone di rifugio, di santuario, vanno in crisi.

Si produce dunque crisi sociale ma anche la possibilità di carestie; gli impatti sono veramente molto importanti e quello che è peggio sono a danno delle comunità più povere, più marginali, quelle che hanno meno possibilità di far valere i propri diritti.

 

Ci sono degli strumenti a libello internazionale che si possono usare? Cosa si sta facendo?

Purtroppo strumenti non ce ne sono. Ci sono delle linee guida, come quelle della FAO sugli investimenti in agricoltura, ma sono completamente volontarie.

A livello di Nazioni Unite Esiste il tentativo di promuovere una riflessione su un trattato vincolante sul rispetto dei diritti umani che potrebbe essere in qualche maniera anche una risposta a situazioni di questo tipo, ma per adesso siamo ben lontani da una forma di regolamentazione vincolante.

Tutte linee guida volontarie che potrebbero riposare per esempio sul controllo incrociato indipendente di quello che avviene, ma questi contratti sono spesso avvolti nel mistero e nella nebbia di opacità difficilmente risolvibili per cui non è un argomento di cui è facile parlare.

 

Spesso il land grabbing è legato ai fenomeni dell'agricoltura intensiva e delle monoculture. Anche noi possiamo entrarci in contatto, magari inconsapevolmente acquistando beni prodotti anche grazie a questo fenomeno. Cosa possiamo fare?

Il land grabbingo è in qualche maniera organico al sistema di produzione e di consumo di cui noi siamo pienamente pienamente parte.

Non ci rendiamo conto di dove vengono prodotte le cose che mangiamo, non ci rendiamo conto di quali sono gli investimenti delle banche in cui depositiamo i nostri soldi. 

Un atteggiamento di consumo critico è fondamentale: oggi siamo in grado in molti casi di capire da dove vengono le cose che consumiamo, possiamo fare delle scelte verso produttori che utilizzano filiere controllate ed etiche e lo stesso avviene in campo finanziario, che è un campo molto più difficile e molto più opaco, ma anche qui esistono delle soluzioni, come la Banca Etica o altre esperienze, che permettono di valutare in profondità come usate le risorse finanziarie che anche noi contribuiamo a mettere in circolo.

Intervista a Massimo Pallottino del 2 aprile 2019

Su Ecosistema, un approfondimento sul fenomeno del Land Grabbing con il responsabile Ufficio Asia e Oceania di Caritas Italiana

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