21 Gennaio 2019
VIVERE GREEN
21 Gennaio 2019

L’impatto ambientale della fast fashion

Cotone, poliestere e coloranti. I costi nascosti dietro i vestiti “usa e getta”

L'industria della fast fashion, la moda pensata per un consumo rapido e a basso costo, è tra i settori commerciali di maggior successo da inizio millennio, specialmente dopo che, nel 2005, sono state ridotte le limitazioni sull'import di indumenti.
Questa espansione va purtroppo di pari passo con un incremento dell'impatto ambientale che questo business genera nelle sue varie fasi di produzione.

La moda tradizionale offre solitamente due collezioni l'anno, mentre la fast fashion può arrivare a portare sul mercato fino a cinquanta serie diverse nello stesso lasso di tempo. L'impulso all'acquisto viene costantemente alimentato, favorito anche dall'economicità del prodotto offerto ed è in questo modo che il business riesce a tenere il passo con i giganti dell’e-commerce.

In America, ad esempio, la pila di indumenti che il singolo individuo acquista è cresciuta in maniera esponenziale, tanto che nelle ultime due decadi si è quintuplicata.

Quest'immensa fortuna del settore ha un costo che grava sull'ambiente e si potrebbe considerare già la produzione delle materie prime come indicatore. I materiali maggiormente utilizzati sono il poliestere (che domina il settore) e il cotone. Quest'ultimo ha bisogno di un'enorme quantità d'acqua per favorirne la coltivazione, ad esser precisi ben 20mila litri per kg.

A ciò si aggiunge l'uso intensivo di pesticidi, letali per lavoratori costantemente a contatto con tali materie tossiche (la regione indiana del Punjab, dove una buona percentuale di cotone viene prodotto, sta lì a dimostrarlo).

Anche il poliestere, materiale creato artificialmente, ha il suo impatto, arrivando ogni anno a produrre gas serra pari a quelli rilasciati da 185 centrali elettriche a carbone (oltre 700 Mld di Kg).

Ad oscurare le tinte di questa trama c'è anche tutta la serie di problemi concernenti il confezionamento degli indumenti, specialmente in fase di colorazione. Questa parte del processo di produzione (quello della colorazione) rilascia un'ingente mole di materiale tossico nelle acque limitrofe agli stabilimenti tanto che in molti si stanno mobilitando per brevettare un sistema alternativo di tinteggiatura. Progetti quali ColorZen® propongono un trattamento sul cotone che favorisce una polarizzazione del materiale atta a facilitare la presa del colore, riducendo così il consumo d'acqua fino al 90%. 

L'appello per fermare l’incremento di quest'impatto ambientale è rivolto, oltre che alle istituzioni governative, al singolo consumatore, perché il cambiamento possa davvero attuarsi nel quotidiano. A sostegno di un consumo orientato alla sostenibilità ci vengono in aiuto iniziative private e nuove tecnologie. Ad esempio, app che permettono di valutare l'impatto ambientale di un prodotto già al momento dell'acquisto (come Good on You). Una volta effettuato l'acquisto, il consiglio è sempre quello di utilizzare i capi il più possibile, anche riparandoli qualora fosse possibile.  L'85% dei vestiti dismessi finisce direttamente nelle discariche/inceneritori, andando ad incrementare un problema rifiuti già difficilmente gestibile.

Articolo a cura di trademachines.info 

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