4 Giugno 2019
Gabriele Renzi
VIVERE GREEN
4 Giugno 2019
Gabriele Renzi

Un decalogo per la salute sostenibile per abbattere le disuguaglianze nell'accesso ai servizi

Italia e Europa in trend positivo sugli obiettivi sanitari fissati dall'Agenda 2030, ma permangono differenze e ineguaglianze nell’accesso a cure e servizi.

L’obiettivo di sviluppo sostenibile numero tre si prefigge di assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età. Su questo obiettivo il nostro paese negli ultimi anni registra un trend positivo: l’aspettativa di vita media si sta alzando, il tasso di mortalità degli incidenti stradali diminuisce e diversi altri indicatori fanno registrare il segno più.

Tuttavia permangono notevoli disparità tra ricchi e poveri, tra nord e sud sia nella qualità dell’assistenza che nella stessa possibilità di accesso a questa assistenza. Basti pensare che secondo l’Istat circa 2 milioni di persone rinunciano a visite o accertamenti specialistici per problemi di liste di attesa e circa 4 milioni lo fanno per motivi economici.

Anche di questi aspetti si è parlato in uno degli eventi principali del Festival dello Sviluppo Sostenibile dal titolo “Disuguaglianze di salute: politiche sanitarie e non sanitarie”.

Ne parla intervenendo all’interno di Ecosistema, rubrica a cura di Earth Day Italia trasmessa da Radio Vaticana Italia, Carla Collicelli, ricercatore associato al CNR Istituto Tecnologie Biomediche e membro del Segretariato ASviS responsabile dell’Obiettivo 3 “Salute e Benessere”

   

Tra i target dell’Obiettivo numero 3 dell’Agenda 2030 intitolato a salute e benessere c’è quello di garantire a tutti l'accesso a servizi essenziali di assistenza sanitaria di qualità. Questo “garantire a tutti” è tra le maggiori criticità del nostro paese che invece, secondo il rapporto ASviS, complessivamente sulla salute registra delle tendenze positive.

Salute e sanità in Italia funzionano abbastanza bene. L'obiettivo di raggiungere buoni livelli di sanità e di salute per tutti è raggiunto per molti aspetti e anche in Europa la sanità ha una posizione abbastanza positiva.

Tuttavia abbiamo evidenziato con il nostro lavoro di analisi sui dati che le differenze, sia tra paesi europei che tra regioni italiane e poi tra cittadini di diversi territori e condizione sociale, sono molto grandi e questo naturalmente cozza con l'obiettivo dell'universalismo che sta alla base del nostro servizio sanitario.

Abbiano tempi di attesa per l'accesso alle cure alti, ma soprattutto differenti a seconda delle strutture, presenza di servizi sul territorio molto differenziata, difficoltà ad accedere alle cure innovative in alcuni territori e in alcune categorie sociali e questo incide sulla speranza di vita alla nascita;

per esempio studi fatti dal professor Costa hanno evidenziato che ci sono dieci anni di differenza nella speranza di vita tra la persona più povera del sud è la persona più ricca del nord.

    

A proposito di liste d’attesa, secondo il rapporto “Osservatorio sui tempi di attesa e sui costi delle prestazioni sanitarie nei Sistemi Sanitari Regionali” ci sono delle differenze significative tra i tempi d'attesa nel privato e nel pubblico. Per diversi esami piuttosto comuni passiamo dai circa 2 mesi del pubblico a circa una settimana nel privato. Questo che riflessioni stimola, anche sulla necessità di bilanciare pubblico e privato all'interno del sistema sanitario nazionale?

Le differenze che ha citato non sono solo tra pubblico e privato, ma anche tra servizi pubblici in regime di copertura del servizio sanitario nazionale, e quindi il solo pagamento del ticket, e servizi pubblici in intramoenia.

Quindi la differenza non è tanto tra gli erogatori dei servizi, ma è legata al fattore del pagamento: là dove il cittadino paga una somma piuttosto cospicua, sia in intramoenia che nelle strutture private a pagamento totale, i tempi di attesa si abbassano notevolmente.

Questo costituisce un’ingiustizia molto pesante sulla quale, finalmente, da poco tempo il Ministero ed altre istituzioni preposte hanno messo l'occhio, ma bisogna dire che ancora nulla è stato fatto per risolvere questa questione.

Secondo la ricerca, quella appunto fatta da Crea sanità per la Cgil, questa situazione sarebbe legata in buona parte al mancato rinnovo degli organici del personale, cioè al fatto che il turnover del personale non viene repentinamente contrastato con nuove assunzioni, il che creerebbe una situazione occupazionale sguarnita.

     

Il tema delle disuguaglianze di salute è stato anche l'oggetto dell'evento nazionale sull'obiettivo 3 organizzato lo scorso 30 maggio dall’ASviS all'interno del Festival dello Sviluppo Sostenibile. Quali sono stati gli obiettivi di questo incontro?

L'obiettivo dell'incontro è stato quello di mettere a confronto le posizioni delle diverse istituzioni che in Italia si interessano e gestiscono le politiche della salute. Abbiamo realizzato l’evento in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità, e in particolare con l’unità di ricerca che si occupa delle disuguaglianze che coordina un progetto europeo che vuole proprio contrastare questa mancanza di equità; a questo scopo abbiamo invitato il massimo esperto mondiale in materia, il professor Marmot, il massimo esperto italiano, professor Giuseppe Costa di Torino, e con loro abbiamo intanto messo a fuoco la questione e aperto una discussione con una tavola rotonda molto ben guarnita su quali potrebbero essere le piste di lavoro per contrastare queste disuguaglianze.

     

Quali sono queste possibili proposte?

Una delle proposte principali che abbiamo avanzato, e su questo l'Istituto Superiore di Sanità è in piena armonia con noi, è quella di costituire un tavolo di confronto gestito dal Ministero della Salute che sia preposto proprio al monitoraggio delle politiche sanitarie dal punto di vista della sostenibilità e quando parliamo di sostenibilità in questo campo ovviamente ci riferiamo in modo particolare all'eguaglianza delle opportunità e alla giustizia sociale.

A questo tavolo a nostro avviso dovrebbero partecipare anche i referenti di altri comparti delle politiche pubbliche perché sappiamo che buona salute si crea anche nel mondo del lavoro, si crea con le scelte che si fanno in economia, si crea con le politiche ambientali.

Come dice uno slogan dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: salute in tutte le politiche.

ASviS aveva anticipato questa linea di lavoro con il decalogo per la salute sostenibile che abbiamo lanciato alcuni mesi fa e che è stato ripreso anche in occasione di questo convegno proprio con l'intenzione di renderlo operativo.

    

Un tema quello delle differenze nell’acceso ai servizi che va a gravare in particolare sulle spalle delle famiglie e in particolare dei cosiddetti caregivers ossia quelle figure che all’interno delle famiglie si fanno carico del parente in difficoltà. Tema che lei ha evidenziato nel suo contributo all’11° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici F.A.V.O. - Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia.

Questo contributo, ma più in generale il contributo che la F.A.V.O. da rispetto alla condizione assistenziale del malato oncologico, si sposa molto bene con gli obiettivi della salute sostenibile di cui parlavamo.

Con questa ricerca, che riprende un'analoga ricerca fatta sei anni fa dalla stessa F.A.V.O., abbiamo constatato che i disagi e le difficoltà sociali ed economiche delle famiglie che hanno al proprio interno un malato oncologico non siano affatto diminuiti, anzi ci sembra che per alcuni aspetti la situazione sia notevolmente peggiorata.

Si tratta di disagi e difficoltà di tipo psicologico, ma accanto a questi c'è una riduzione delle entrate economiche della famiglia dovuta alla perdita del lavoro o alla riduzione dell'orario lavorativo. C'è inoltre una difficoltà nell'accesso ad alcune prestazioni: naturalmente le prestazioni più importanti il nostro servizio sanitario le fornisce anche gratuitamente, ma ci sono tutta una serie di aspetti di contorno, come la lontananza dal luogo di cura, e quindi le spese di trasporto, o l’assistenza domiciliare per quei pazienti che non sono in ospedale eppure hanno bisogno di particolari assistenza.

Tutto questo ricade sul cosiddetto caregiver, una persona di riferimento della famiglia che aiuta questo tipo di malati e anche il caregiver secondo la nostra ricerca subisce una riduzione, sia nel reddito, che nella partecipazione lavorativa, che in generale nel suo benessere psicologico.

Intervista a Carla Collicelli del 4 giugno 2019

Carla Collicelli ricercatore associato al CNR Istituto Tecnologie Biomediche e membro del Segretariato ASviS responsabile dell’Obiettivo 3 “Salute e Benessere” affronta il tema delle disuguaglianze di salute, al centro di uno degli eventi principali del Festival dello Sviluppo Sostenibile

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